venerdì

16 Marzo 2012

Avevamo un piccolo fuoco acceso, e il suo bagliore li aveva portati dritti verso il nostro rifugio.

«Chi c’è? Uscite fuori!»
«Abbiamo un ferito, non può muoversi senza aiuto!»

Rumori di persone che si arrampicavano sul vagone ribaltato, e poi le bocche di due mitra verso di noi.

«Sono due uomini e una donna, e non sembrano infetti.»

Il tono secco e impersonale di un militare che riferisce al suo superiore.

Dopo averci aiutato ad uscire e a portare fuori il ragazzo, ci hanno convinto, con il gentile aiuto dei mitra, a muoverci davanti a loro verso l’uscita della metro. Tanto si erano già occupati dell’esterno, per ora.

Avevano una Lince, come quella che avevo usato per raggiungere Pozzuoli, secoli fa. Sul davanti ci avevano attaccato delle lastre di metallo a formare un cuneo, come una nave rompighiaccio.

«Così ci spostiamo le auto ferme senza problemi, l’idea l’abbiamo copiata da un film horror, ci credi?» è stata la sarcastica risposta al mio interesse.

Non sono tutti militari, qualcuno ce n’è, ma per lo più sono gente normale con un’arma e una specie di uniforme. Ci hanno portati verso Piazza Garibaldi, e da lì sull’autostrada... come se sapessero che quello era esattamente il nostro piano. Erano 5 in tutto, noi stavamo dietro, con due di loro che ci tenevano sotto tiro, senza dire una parola. Non ricordo dove abbiamo preso lo svincolo di uscita, e ci siamo ritrovati tra le campagne.

Una strada sterrata ci portava alla loro casa base.

lunedì

12 Marzo 2012


Ho riletto il mio resoconto, per rivivere tutto quello che ho passato per arrivare fin qui, per cercare un senso e non farmi abbattere dal senso di inutilità e di... come dire... fatalismo, che mi sta sopraffacendo. Nel rileggere questi appunti, mi sono accorto che non rendono del tutto la realtà di quello che è stato.
Io mi sono cagato veramente addosso, in tutti questo tempo. Non sempre le decisioni sono state prese così alla leggera o velocemente come sembra dai miei appunti, scritti la maggior parte delle volte in fretta e furia o in uno stato come di shock. La maggior parte delle volte non sapevamo quello che cazzo stavamo facendo.

Siamo rimasti parecchio tempo in quei tunnel della metropolitana. Enzo si è fatto un brutto taglio contro le lamiere di un vagone della metro, e la ferita si è infettata. Delirava, aveva la febbre alta e le allucinazioni, e non avevamo un cazzo per farlo stare meglio. La ferita, sulla coscia sinistra, è diventata purulenta nel giro di poco tempo, ed ha perso parecchio sangue. Se l’è vista brutta, ed ancora adesso non è del tutto fuori pericolo.

Alla fine il nostro piano è andato a puttane, per fortuna.

Per giorni siamo rimasti in quel vagone, cercando di fare il possibile per Enzo. Angela, come al solito, ha sclerato di brutto, il che ovviamente non ha apportato nessun miglioramento alla nostra condizione. Chiusi lì dentro, senza alcuna medicina che non fossero delle aspirine o degli antinfiammatori, con le riserve di cibo che diminuivano sempre di più, ed il traffico di Ambulanti che diventava sempre più intenso, come se sapessero che eravamo lì, anche se non riuscivano a vederci. Io ed Angela eravamo arrivati alla conclusione di dover lasciare Enzo lì, perché non potevamo fare un cazzo, ed almeno noi ci saremmo salvati.
Non riuscivo più a sopportare l’odore della metro, il puzzo di bruciato e putrefazione, la mancanza di aria fresca. Respirare faceva male ai polmoni come se l’aria stessa fosse fatta di acido, il che per quanto ne so poteva anche essere vero.

Proprio quando avevamo deciso di andarcene, e abbandonare il povero ragazzo nel suo stato di semi-incoscienza, siamo stati trovati da un gruppo  di uomini, armati di mitra e coltelli, che con le torce stavano perlustrando la metro.