Avevamo un piccolo fuoco acceso, e il suo bagliore li
aveva portati dritti verso il nostro rifugio.
«Chi c’è? Uscite fuori!»
«Abbiamo un ferito, non può muoversi senza aiuto!»
Rumori di persone che si arrampicavano sul vagone
ribaltato, e poi le bocche di due mitra verso di noi.
«Sono due uomini e una donna, e non sembrano infetti.»
Il tono secco e
impersonale di un militare che riferisce al suo superiore.
Dopo averci
aiutato ad uscire e a portare fuori il ragazzo, ci hanno convinto, con il
gentile aiuto dei mitra, a muoverci davanti a loro verso l’uscita della metro.
Tanto si erano già occupati dell’esterno, per ora.
Avevano una
Lince, come quella che avevo usato per raggiungere Pozzuoli, secoli fa. Sul
davanti ci avevano attaccato delle lastre di metallo a formare un cuneo, come
una nave rompighiaccio.
«Così ci
spostiamo le auto ferme senza problemi, l’idea l’abbiamo copiata da un film
horror, ci credi?» è stata la sarcastica risposta al mio interesse.
Non sono tutti
militari, qualcuno ce n’è, ma per lo più sono gente normale con un’arma e una
specie di uniforme. Ci hanno portati verso Piazza Garibaldi, e da lì
sull’autostrada... come se sapessero che quello era esattamente il nostro
piano. Erano 5 in tutto, noi stavamo dietro, con due di loro che ci tenevano
sotto tiro, senza dire una parola. Non ricordo dove abbiamo preso lo svincolo
di uscita, e ci siamo ritrovati tra le campagne.
Una strada
sterrata ci portava alla loro casa base.