La fuga è stata difficile e terribile. Abbiamo preso
uno dei nostri mezzi “corazzati”, scappando senza una meta, travolgendo i morti
che si mettevano davanti a noi. Riesco ancora a vedere il loro sangue e le loro
budella che si spiaccicano sul nostro parabrezza e colano via, come gelatina.
Non sapevamo bene cosa stessimo facendo. Eravamo tutti sotto shock, almeno
credo, alcuni di noi ci hanno messo qualche giorno a metabolizzare l'accaduto.
Eravamo al centro di Napoli, vicino una stazione della metro, quando ci siamo
fermati. Avevo nelle orecchie i battiti del mio cuore e il respiro affannoso
dei miei “compagni”. Nessuno diceva una parola, ma quando il primo di “loro” ha
dato un pugno al nostro mezzo qualcuno ha urlato, risvegliandoci da quella
strana paralisi. Ho messo in moto, mentre i morti urlavano e colpivano il
nostro furgone.
Non stavo pensando, volevo solo fuggire, o morire.
Sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza all'entrata di un palazzo, siamo scesi
in tutta fretta e siamo entrati, sbarrando la porta. Lì dentro era buio, ma
silenzioso. Non abbiamo osato accendere una luce, abbiamo cominciato a salire
le scale. Qualcuno piangeva, soffocando i singhiozzi. Fuori si sentivano i
morti urlare e fare un gran casino, agitati dalla nostra fuga. La mia
intenzione era arrivare all'ultimo piano e barricarmi lì almeno per un po'.
Mi sembrava stranissimo che non ci fosse niente in
attesa lì dentro, considerando anche il pungente odore che eravamo costretti a
sopportare. Quell’odore ci diceva che qualcuno doveva per forza essere morto lì
dentro, ma quanto all’assassino, nessuna traccia. La porta dell’appartamento
del quarto, e ultimo, piano era solo socchiusa. Ho detto agli altri di
aspettare sulla rampa di scale e sono entrato, come un cazzo di supereroe. Ho
perlustrato l’appartamento cercando di non fare il minimo rumore, con tutti i
sensi allerta e i nervi a fior di pelle. Lui stava nella camera da letto,
fermo, immobile come una statua di marmo, emettendo solo dei bassi gorgoglii.
Dopo 10 o 15 secondi lui si è accorto di me, ne sono sicuro da come si è
girato, ma è stato in quel momento che mi sono accorto che non aveva gli occhi.
Quello che ne rimaneva era incrostato sul viso, e aveva il segno visibilissimo
di un morso sulla spalla. Non si muoveva, ma era come se stesse annusando, come
se stesse scandagliando la stanza
cercando qualcosa. Cercando me.
Poi mi sono accorto di una cosa.
Si stava decomponendo. La sua carnagione non era
bianca come il marmo, come gli altri che ho visto, ma era diventata di un
leggero verdastro, con la carne marcescente dove era lacerata da qualche
ferita. In quel momento sono stato assalito dalla speranza che dopotutto qualcosa si può fare, che
questi fottuti cadaveri non sarebbero andati in giro per sempre a lamentarsi e
mangiucchiare le persone normali. Senza pensarci due volte gli ho spalmato il
cervello sulla parete con un colpo della mia mazza da baseball e ho chiamato
gli altri.
A quanto dice il calendario, se non abbiamo sbagliato
i calcoli, è il 31 Dicembre 2011. Tra qualche minuto inizierà il 2012.
Buon Anno.