domenica

25 Settembre 2011


Ore 15.37

Ho passato ore e ore ad osservare le ferite sul mio corpo, cercando di capirne il segreto. É evidente che ciò che ha impiantato in me questa cosa, qualunque essa sia, è stato il morso sulla mia spalla sinistra. Tutte le altre ferite sono normali ferite, benché siano passati un paio di mesi e a guardarle si potrebbe giurare che me le sia fatte 5 minuti fa, a parte il fatto che non perdo sangue. La ferita sulla spalla è diversa: è una lacerazione da morso molto tumefatta, i tessuti presentano un inizio di necrosi, ed è contornata da un lieve ematoma e da una leggera raggiera di capillari nero/violaceo. Mi sento sempre meno in me col passare del tempo, sono più irascibile, più violento, molto di più, non provo più alcuna emozione, solo rabbia cieca. Sempre più spesso mi ritrovo in giro, senza sapere dove vado, da dove vengo o come sono arrivato lì, uccidendo chi mi ritrovo sotto mano, vivo o morto che sia. E ho scoperto di poterli comandare. Non so come diavolo sia possibile, ma riesco a imprimere in loro i miei desideri. Non credo sia telepatia, quanto più qualcosa di biologico, come qualche tipo di feromoni o cose del genere. In realtà sto perdendo l'interesse puramente scientifico per quanto mi sta succedendo, tanto non credo possa essere un processo reversibile. Non è una febbre o un raffreddore. In realtà non so bene cosa sia, ma sono certo del fatto che se anche trovassi il modo di rimuovere l'agente infestante la sua rimozione ucciderebbe il portatore. Resta solo da capire se questa situazione sia eterna o no, ed io opterei più per la seconda. Come si dice, chi vivrà vedrà, e per ora, perché non trarne quanti più vantaggi possibili?

mercoledì

21 Settembre 2011

Non siamo più tornati a Pozzuoli. In realtà credo che a Miriam non cambi un cazzo se siamo a Pozzuoli, sulla terraferma o sulla fottuta Luna nello stato in cui si trova. Mi fa pena vederla così.

Siamo rimasti in mare un'infinità di tempo, fino a che le scorte di cibo e acqua sono durate. Né io né Miriam avevamo voglia di scendere a terra e lottare di nuovo con i morti, continuando a scappare, continuando ad avere paura, e poi non sarei potuto andare lontano con quella donna in quelle condizioni. Non mangia, non si muove, non parla. Penso che qualcosa nel suo cervello e nel suo animo si sia spezzato.

Credo che si butterebbe volentieri tra le loro braccia.

Quando ci accorgemmo che non avremmo più potuto stare in mare, ci dirigemmo verso Napoli, costeggiando i porti e il lungomare per scrutare la situazione. Una vista che dava i brividi... tutto era spento, tutto era fermo, tranne l'immonda folla di cadaveri che camminava dappertutto. Ma se nella provincia quello che ho visto mi è sembrato devastazione, qui è stato molto peggio. Sembravano i resti di un fottuto bombardamento durante una fottuta guerra mondiale. Auto con le ruote all'aria, resti ancora fumanti di incendi, crateri nell'asfalto, facciate delle case distrutte.

Una fottuta guerra.

Mi chiedevo se qualche nave militare abbia bombardato quei mostri del cazzo, perché era questa l'idea che mi dava quella vista. E a quanto pare non è servito a un cazzo. Loro sono sempre lì.

La barca andava un po' per i cazzi suoi in realtà, mentre io ero, come dire, in un qualche modo incantato da quella vista, e non mi resi conto nemmeno della piccola barca a remi che si avvicinò alla nostra, finché non sentii un “Non muovetevi!” esclamato in tono deciso dall'altro lato della monoalbero. Due tizi, in piedi in una barchetta e con una pistola ciascuno, mi guardavano. Miriam uscì fuori all'improvviso, pallida, con delle occhiaie da far paura e gli occhi gonfi di pianto, e i due sussultarono vedendola sbucare all'improvviso. Lei non disse nulla, li guardò fissi senza dire una parola.
Chi siete e da dove venite?” mi chiesero, con un forte accento napoletano. Tentai di spiegare velocemente tutte le nostre vicissitudini, omettendo l'omicidio del soldato Joe. In realtà non furono molto interessati alla risposta. Salirono sulla nostra barca, sempre puntandoci contro le pistole. “Adesso venite con noi” ci disse uno dei due, mentre l'altro scendeva sottocoperta a vedere se c'era qualcun altro.
" Non vogliamo farvi del male, ma dovete venire con noi”

Ci portarono a Castel dell'Ovo e ci fecero scendere. Uno di loro prese anche i nostri pochi bagagli, comprese le armi, e ci condussero all'interno del castello.


sabato

17 Settembre 2011

La notte prima di toccare terra fui svegliato da delle urla. Mi guardai intorno e Joe non era nella cabina che dividevamo per dormire. Presi il fucile e corsi fuori, pensando che in qualche modo quei mostri erano riusciti a raggiungerci, e vidi la piccola Anna piangere fuori dalla porta della cabina in cui dormiva con la madre. La porta era chiusa, e dall'interno sentivo le urla di Miriam e la voce di Joe che mormorava qualcosa. Sfondai la porta con un calcio, e vidi quello che temevo di vedere. Miriam aveva i vestiti strappati e i capelli in disordine, e tentava di proteggersi da Joe che la tirava a sé, con una maglietta indosso e nient'altro. Preso dal panico mi partì un colpo, che raggiunse Joe allo stinco sinistro; un urlo fortissimo uscì dalla sua bocca, e penso che quello fu il momento in cui si accorse che qualcun altro era nella stanza insieme a loro. Mi guardò, con degli occhi da pazzo, e nonostante il proiettile nella gamba si fiondò su di me, con un coltello stretto nella mano. Nella colluttazione che seguì, Joe mi infilò il coltello nel bicipite del braccio destro e io lo colpii alla tempia con il calcio del fucile. Joe cadde tra le mie braccia e per non rinvenire più.
L'avevo ucciso. Io ho ucciso un uomo. Uno vivo.
Miriam mi guardò, e nel suo sguardo la paura per quello che stava per accadere era stata sostituita da una strana tranquillità. Si alzò senza dire una parola, si cambiò i vestiti e poi andò dalla figlia per tranquillizzarla. Mi lasciò da solo col cadavere di Joe. Il braccio mi faceva un male cane, ma riuscii comunque a trascinare il corpo del soldato per buttarlo fuori bordo. In un mondo risotto così, questo è il miglior funerale che si può sperare di avere.
Solo ora mi accorgo che sto scrivendo al passato remoto. Per quanto recenti, gli ultimi avvenimenti mi sembrano lontani nella memoria, come se il mio stesso corpo stesse tentando di rimuoverli. Credo che in circostanze del genere il nostro stesso cervello si voglia proteggere, relegando gli orrori nei più bui anfratti della nostra memoria.
Dalla morte di Joe, gli unici maschi a bordo siamo io e il piccolo Roland, che è anche abbastanza cresciuto da quando entrò per la prima volta in casa mia, secoli e secoli fa.

Quando scendemmo a terra, ci sembrò tutto troppo calmo, paurosamente calmo. Non c'era nessuno in giro, né vivo né morto, e non si sentiva un rumore. Le porte e le finestre delle case erano tutte chiuse, e regnava un'atmosfera degna di una città fantasma come quelle che si vedono nei film dell'orrore. Era tutto così silenzioso che anche respirare sembrava provocare troppo rumore. Caricai il fucile, e ci inoltrammo nella prima strada che vedemmo. La fortuna volle che riuscissimo a trovare un piccolo negozio di alimentari, con la porta solo accostata; entrammo e rimanemmo sulla soglia, aspettando di vedere da un momento all'altro uno di loro, ma tutto sembrava tranquillo. Prendemmo qualche cosa da mangiare, riempendo i nostri zaini, e anche delle bottiglie d'acqua, facendo il tutto nel minor tempo possibile, dopodichè ritornammo in strada, cercando qualcosa, o qualcuno. E fu allora che successe l'impensabile.
Girammo un angolo, e sulla strada vedemmo decine e decine di morti seduti sull'asfalto a non fare assolutamente niente, però chissà per quale motivo, chissà grazie a quale infernale senso dato loro, si accorsero di noi, ed iniziarono ad agitarsi. Si alzarono e ci puntarono, come un predatore con la sua preda, e iniziarono a correre.
Ci presero totalmente alla sprovvista, ma non avrei potuto fare niente contro un'orda inferocita da solo con il mio mitra. Sparai un paio di raffiche e poi ci mettemmo a correre. Non so come cazzo sia possibile, ma per quanto impacciati possano sembrare normalmente, quando vogliono correre, corrono. Cercammo di ritrovare la via che avevamo percorso fin lì, ma presi dal panico penso che facemmo un tragitto più lungo. Erano spaventosamente veloci, e le urla che lanciavano mi facevano rizzare i peli sul collo e gelare le palle, e quando eravamo quasi arrivati, fu allora che, non so come, riuscirono a strappare Anna dalla madre. Fu una cosa di pochissimi secondi, e già i denti di un paio di loro stavano affondando nella carne della bimba. Dovetti letteralmente stringere Miriam e trascinarla correndo per gli ultimi metri, perché stava per tornare indietro e gettarsi in mezzo a loro, per salvare la figlia in lacrime. Tra urla e pianti la issai sulla barca e facendo il più presto possibile riprendemmo il mare, mentre l'orda si arrestava sul mare, spingendo i morti che stavano più avanti giù nell'acqua.
Ho dovuto lottare non poco per impedire a Miriam di gettarsi in mare, tentando inutilmente di calmarla, ma come calmare una madre a cui una figlia e stata strappata in questo modo? Come si può pensare di fermare il pianto, di distrarla dal dolore?
La verità è che non si può, e che è giusto che una madre pianga la propria figlia.

Cosa fare ora? Dove avremmo potuto andare? Tornare indietro a Pozzuoli a recuperare il blindato? E per andare dove?

lunedì

12 Settembre 2012


Eravamo tutti lì, coi nasi attaccati ai finestrini, a guardarla. Una barca a vela, non troppo grande ma in perfetto stato, che galleggiava andando alla deriva a qualcosa come 200 metri dal lungomare, apparentemente senza nessuno a bordo. Il problema era riuscire ad impossessarsene e portarci armi e cibo. Qualcuno di noi avrebbe dovuto raggiungerla a nuoto, per avvicinarla e permettere agli altri di salire portando anche gli zaini. Il tutto inoltre doveva essere fatto evitando i cadaveri che già si stavano avvicinando al blindato, e sperando che, come ipotizzammo, questi cazzo di mostri scoordinati non fossero in grado di tuffarsi in acqua e nuotare. Decisi di andare io, lasciando il soldato in compagnia di Miriam e Anna. Una volta a bordo avrei portato la barca al molo, dove sarei stato raggiunto dagli altri, di modo da permettere agli altri di salire più facilmente e velocemente con le borse addosso e per seminare gli zombie che ci stavano seguendo per tutto il nostro giretto. Portai con me solo la mazza da baseball, infilata nella cintura. Uscii dal blindato, con Joe e il suo fucile a coprirmi, e mi diressi verso gli scogli che dividevano la strada dal mare. Anche sugli scogli era pieno di cadaveri, il cui sangue scorreva nell'acqua dandole un colorito roseo. Mi tuffai stringendo occhi, naso e bocca tanto forte da farmi male, e nuotai alla cieca per un po'. Quando decisi che avevo percorso abbastanza strada, e il sangue non avrebbe più potuto infettarmi, aprii gli occhi, e aggiustando un poco la rotta nuotai fino alla barca. Era un bel monoalbero di una decina di metri, con tutta la strumentazione in ordine, due cabine e il motore con ancora carburante. Sul ponte c'erano i corpi di due uomini con due pistole e due buchi in mezzo al petto. Suicidio in compagnia? Un diverbio? Non me ne fregava un cazzo. Spinsi i due corpi in acqua, tenendomi le pistole, e presi i comandi. Non molto tempo prima non credo proprio che avrei reagito così di fronte a due cadaveri. La necessità cambia le persone. 
Arrivai al molo in pochi minuti, e quasi in sincronia arrivarono gli altri. Li aiutai a caricare la roba sulla barca, e poi dissi a Joe di chiudere il blindato a chiave. Non si sa mai. Anna era contenta, non era mai stata su una barca così, e mi ha fatto piacere mentre con Roland ne esaminava ogni angolo. Quando ha notato le macchie di sangue ho fatto finta di niente e ho mentito dicendo che era solo vernice fresca. Ci siamo allontanati dal molo, mentre un gruppo di loro si stava radunando attorno al blindato, cercando qualche segno di vita. C'era una vecchia signora che poteva essere mia nonna, con le ciabatte e la vestaglia, una vistosa porzione di muscolo esposta sul braccio sinistro e sangue incrostato attorno la bocca.

Il GPS della barca era ancora funzionante, e trovò la nostra posizione. Lo impostai tranquillamente sulla rotta verso Procida, poi dopo 5 minuti mi resi conto che quello era il primo strumento elettronico ancora in funzione che toccavo da mesi. Mi diede una strana sensazione e un brivido mi salì lungo la schiena. Il viaggio sarebbe durato una mezz'ora scarsa, ma Miriam ebbe l'idea di rimanere uno o due giorni fermi in mare, a rilassarci un po', visto che le provviste non ci mancavano e in mare non avrebbero potuti raggiungerci. Fu davvero una buona idea, per un paio di giorni ci dimenticammo degli ultimi mesi passati vivendo nella paura di poter morire per ogni piccolo errore, e fummo solo 4 persone che si godevano un paio di giorni di vacanza.

In cabina c'era un lettore DVD e dei film, delle canne da pesca, cazzo c'era anche una bottiglia di ottimo champagne.
É stato bello.

giovedì

8 Settembre 2011


Ore 12.17

Sono vicino alla soluzione, ma non riesco a vederla. Se riuscissi ad analizzare un campione senza perderlo penso che potrei riuscire a capire cosa sia successo, ma per ora posso solo analizzare i dati che sono riuscito a raccogliere. Ho aperto decine di teste, e la soluzione ogni volta si è distrutta davanti ai miei occhi. Il cervello degli infetti sembra essere avvolto da filamenti come di ragnatele, o di un qualche tipo di micelio di una qualche infernale forma fungina, ma purtroppo qualsiasi cosa sia, appena entra in contatto con l'aria si dissolve, polverizzandosi. Questo dev'essere anche il motivo per cui l'unico modo per fermare gli infetti è sfondandogli il cranio. A contatto con l'aria il parassita, sono assolutamente sicuro che si tratti di un qualche tipo di parassita, si dissolve. Credo che per lo stesso motivo l'infezione non si diffonda per via aerea ma solo tramite i fluidi. Non riesco più ad essere lucido come prima, ma almeno ho conservato il mio raziocinio. La vista mi si annebbia, a volte mi sento come impazzire, ma sto bene.

Mi guardo allo specchio e vedo uno di loro.

domenica

4 Settembre 2012


Se continuo a scrivere è solo per rispettare l'impegno preso, per raccontare tutta la storia.
È stato un disastro, un disastro completo.

Abbiamo aspettato ancora qualche giorno nella casa a Pozzuoli, approfittandone per mangiare finalmente dei veri pasti caldi, rilassarci per quanto possibile, fare una vera doccia. La casa in cui eravamo rintanati era perfetta, con un bel muretto di mattoni alto abbastanza da non poter essere superato dall'orda di zombie e il cancello bloccato da una grossa monovolume. L'unico difetto era il cadavere dell'ex proprietario suicidatosi con un'elevata dose di sonniferi e alcool nella camera da letto principale. Tutte le stanze sono piene di foto di lui e sua moglie, e anche dei figli, ormai grandi e con famiglia. Doveva vivere solo da un bel po', e ha preso la decisione di non tornare. La decisione migliore che si può prendere in un mondo dove i morti continuano a camminare. Nessuno dovrebbe vedersi togliere il diritto di godersi la sua pace alla fine.
Io voglio morire in pace.
Non esiste che diventi uno di loro.
Mai.

Non appena la folla di erranti fuori dal cancello ci è sembrata diradarsi, siamo corsi al blindato. In realtà andare in giro con quell'affare è tranquillizzante. Non c'è modo che riescano ad entrare, perfino nell'eventualità di un ribaltamento non credo che riuscirebbero facilmente a violarlo, quindi non c'è bisogno di mettersi in piedi sul cassone a fare Rambo come col Mitsubishi che ho abbandonato. Basta non guardare fuori dal finestrino e quasi ti sembra che sia tutto normale. Poi arrivi al porto e ti ricordi il fottuto incubo che stai vivendo. È stato raccapricciante ma allo stesso tempo bellissimo, bellissimo come può esserlo l'esplosione di un pianeta che ne uccide qualsiasi forma di vita, come i video dei test nucleari in cui le case crollano e le nuvole si spostano, come quando alla televisione guardavi il leone che affonda i denti nel collo della gazella, sporcandosi di sangue caldo e dolce. Mucchi di corpi ricoprivano il molo, budella e sangue sparsi ovunque, qualcuno di loro che ancora si agitava in mezzo a tale devastazione, qualcun altro che si trascinava sulle mani, non potendo più usare le gambe per chissà quale motivo, e gabbiani... tanti gabbiani che si nutrivano in mezzo a tutto questo schifo, dibattendosi sugli orrendi corpi senza vita che ricoprivano l'asfalto. Miriam non riusciva a guardare, e teneva stretta Anna in un disperato tentativo di proteggerla da quello che il nostro mondo è diventato. E in tutto questo, neanche una barchetta. Niente. Non c'era alcuna traccia della presunta nave di soccorritori. Se mai c'è stata, abbiamo ritardato troppo.
Tutto quello che riuscivamo a vedere erano rottami e carcasse mezze piene d'acqua. Tutto quello che poteva muoversi era già stato portato via. Il soldatino ha cominciato a sbraitare tra sé e sé, per poi alzare progressivamente il volume ritrovandosi ad urlare che siamo fottuti e moriremo tutti. Anna ha cominciato a piangere, Miriam ad urlare e Roland ad abbaiare. Non ne vado fiero, ma ho puntato loro un fucile intimandogli di smettere. Joe mi ha guardava a denti stretti, soffiando forte tra i denti il suo respiro pesante, Miriam mi guardava stupita, come se non mi conoscesse, mentre Anna le buttava le braccia al collo piangendo silenziosamente con la faccia schiacciata contro la spalla della madre. Una strana calma si è impadronita di me, mentre facevo spostare il soldato dal posto guida. Ho pensato, ci ho pensato davvero, che premendo quel grilletto avrei potuto mettere fine alla nostra disperazione; ho pensato, e se c'è un dio, che mi perdoni per questo, che uccidendo Anna avrei salvato la sua innocenza, per cui non c'è spazio a questo mondo; ricordo chiaramente di essermi chiesto, alla fine, a cosa servisse realmente il nostro scappare, il nostro tentare di sopravvivere, e ricordo la risposta che mi sono dato da solo.
Solo a rimandare la nostra morte.
Non c'è alternativa, prima o poi moriremo, e quando quel momento arriverà, a cosa sarà servito il nostro affanno, se non ad alimentare il baratro di orrore che si è aperto in noi dall'inizio di questo inferno?

Ho guidato il blindato sul lungomare, schiacciando cadaveri e travolgendo morti viventi, con lo sguardo sempre rivolto all'acqua in cerca di qualcosa. Un paio di volte il mio sguardo ha incrociato quello del mio riflesso nello specchietto retrovisore, e quello che ho visto non ero io, la persona che mi guardava era più spigolosa, più brutta, non solo fisicamente, con quegli occhi da pazzo cerchiati di rosso e quell'espressione dura, cattiva, quasi violenta. Ma all'improvviso... eccola! La nostra salvezza galleggiava alla deriva di fronte al lungomare di Via Napoli.

È passata quasi una settimana, e sono ancora su questa fottuta barca, in mare, ad osservare la terra ferma.