La notte prima di toccare terra fui svegliato da delle
urla. Mi guardai intorno e Joe non era nella cabina che dividevamo
per dormire. Presi il fucile e corsi fuori, pensando che in qualche
modo quei mostri erano riusciti a raggiungerci, e vidi la piccola
Anna piangere fuori dalla porta della cabina in cui dormiva con la
madre. La porta era chiusa, e dall'interno sentivo le urla di Miriam
e la voce di Joe che mormorava qualcosa. Sfondai la porta con un
calcio, e vidi quello che temevo di vedere. Miriam aveva i vestiti
strappati e i capelli in disordine, e tentava di proteggersi da Joe
che la tirava a sé, con una maglietta indosso e nient'altro. Preso
dal panico mi partì un colpo, che raggiunse Joe allo stinco
sinistro; un urlo fortissimo uscì dalla sua bocca, e penso che
quello fu il momento in cui si accorse che qualcun altro era nella
stanza insieme a loro. Mi guardò, con degli occhi da pazzo, e
nonostante il proiettile nella gamba si fiondò su di me, con un
coltello stretto nella mano. Nella colluttazione che seguì, Joe mi
infilò il coltello nel bicipite del braccio destro e io lo colpii
alla tempia con il calcio del fucile. Joe cadde tra le mie braccia e
per non rinvenire più.
L'avevo ucciso. Io ho ucciso un uomo. Uno vivo.
Miriam mi guardò, e nel suo sguardo la paura per quello
che stava per accadere era stata sostituita da una strana
tranquillità. Si alzò senza dire una parola, si cambiò i vestiti e
poi andò dalla figlia per tranquillizzarla. Mi lasciò da solo col
cadavere di Joe. Il braccio mi faceva un male cane, ma riuscii
comunque a trascinare il corpo del soldato per buttarlo fuori bordo.
In un mondo risotto così, questo è il miglior funerale che si può
sperare di avere.
Solo ora mi accorgo che sto scrivendo al passato remoto.
Per quanto recenti, gli ultimi avvenimenti mi sembrano lontani nella
memoria, come se il mio stesso corpo stesse tentando di rimuoverli.
Credo che in circostanze del genere il nostro stesso cervello si
voglia proteggere, relegando gli orrori nei più bui anfratti della
nostra memoria.
Dalla morte di Joe, gli unici maschi a bordo siamo io e
il piccolo Roland, che è anche abbastanza cresciuto da quando entrò
per la prima volta in casa mia, secoli e secoli fa.
Quando scendemmo a terra, ci sembrò tutto troppo calmo,
paurosamente calmo. Non c'era nessuno in giro, né vivo né morto, e
non si sentiva un rumore. Le porte e le finestre delle case erano
tutte chiuse, e regnava un'atmosfera degna di una città fantasma
come quelle che si vedono nei film dell'orrore. Era tutto così
silenzioso che anche respirare sembrava provocare troppo rumore.
Caricai il fucile, e ci inoltrammo nella prima strada che vedemmo. La
fortuna volle che riuscissimo a trovare un piccolo negozio di
alimentari, con la porta solo accostata; entrammo e rimanemmo sulla
soglia, aspettando di vedere da un momento all'altro uno di loro, ma
tutto sembrava tranquillo. Prendemmo qualche cosa da mangiare,
riempendo i nostri zaini, e anche delle bottiglie d'acqua, facendo il
tutto nel minor tempo possibile, dopodichè ritornammo in strada,
cercando qualcosa, o qualcuno. E fu allora che successe
l'impensabile.
Girammo un angolo, e sulla strada vedemmo decine e
decine di morti seduti sull'asfalto a non fare assolutamente niente,
però chissà per quale motivo, chissà grazie a quale infernale
senso dato loro, si accorsero di noi, ed iniziarono ad agitarsi. Si
alzarono e ci puntarono, come un predatore con la sua preda, e
iniziarono a correre.
Ci presero totalmente alla sprovvista, ma non avrei
potuto fare niente contro un'orda inferocita da solo con il mio
mitra. Sparai un paio di raffiche e poi ci mettemmo a correre. Non so
come cazzo sia possibile, ma per quanto impacciati possano sembrare
normalmente, quando vogliono correre, corrono. Cercammo di ritrovare
la via che avevamo percorso fin lì, ma presi dal panico penso che
facemmo un tragitto più lungo. Erano spaventosamente veloci, e le
urla che lanciavano mi facevano rizzare i peli sul collo e gelare le
palle, e quando eravamo quasi arrivati, fu allora che, non so come,
riuscirono a strappare Anna dalla madre. Fu una cosa di pochissimi
secondi, e già i denti di un paio di loro stavano affondando nella
carne della bimba. Dovetti letteralmente stringere Miriam e
trascinarla correndo per gli ultimi metri, perché stava per tornare
indietro e gettarsi in mezzo a loro, per salvare la figlia in
lacrime. Tra urla e pianti la issai sulla barca e facendo il più
presto possibile riprendemmo il mare, mentre l'orda si arrestava sul
mare, spingendo i morti che stavano più avanti giù nell'acqua.
Ho dovuto lottare non poco per impedire a Miriam di
gettarsi in mare, tentando inutilmente di calmarla, ma come calmare
una madre a cui una figlia e stata strappata in questo modo? Come si
può pensare di fermare il pianto, di distrarla dal dolore?
La verità è che non si può, e che è giusto che una
madre pianga la propria figlia.
Cosa fare ora? Dove avremmo potuto andare? Tornare
indietro a Pozzuoli a recuperare il blindato? E per andare dove?