sabato

31 Dicembre 2011 - Happy New Fear!


La fuga è stata difficile e terribile. Abbiamo preso uno dei nostri mezzi “corazzati”, scappando senza una meta, travolgendo i morti che si mettevano davanti a noi. Riesco ancora a vedere il loro sangue e le loro budella che si spiaccicano sul nostro parabrezza e colano via, come gelatina. Non sapevamo bene cosa stessimo facendo. Eravamo tutti sotto shock, almeno credo, alcuni di noi ci hanno messo qualche giorno a metabolizzare l'accaduto. Eravamo al centro di Napoli, vicino una stazione della metro, quando ci siamo fermati. Avevo nelle orecchie i battiti del mio cuore e il respiro affannoso dei miei “compagni”. Nessuno diceva una parola, ma quando il primo di “loro” ha dato un pugno al nostro mezzo qualcuno ha urlato, risvegliandoci da quella strana paralisi. Ho messo in moto, mentre i morti urlavano e colpivano il nostro furgone.
Non stavo pensando, volevo solo fuggire, o morire. Sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza all'entrata di un palazzo, siamo scesi in tutta fretta e siamo entrati, sbarrando la porta. Lì dentro era buio, ma silenzioso. Non abbiamo osato accendere una luce, abbiamo cominciato a salire le scale. Qualcuno piangeva, soffocando i singhiozzi. Fuori si sentivano i morti urlare e fare un gran casino, agitati dalla nostra fuga. La mia intenzione era arrivare all'ultimo piano e barricarmi lì almeno per un po'.
Mi sembrava stranissimo che non ci fosse niente in attesa lì dentro, considerando anche il pungente odore che eravamo costretti a sopportare. Quell’odore ci diceva che qualcuno doveva per forza essere morto lì dentro, ma quanto all’assassino, nessuna traccia. La porta dell’appartamento del quarto, e ultimo, piano era solo socchiusa. Ho detto agli altri di aspettare sulla rampa di scale e sono entrato, come un cazzo di supereroe. Ho perlustrato l’appartamento cercando di non fare il minimo rumore, con tutti i sensi allerta e i nervi a fior di pelle. Lui stava nella camera da letto, fermo, immobile come una statua di marmo, emettendo solo dei bassi gorgoglii. Dopo 10 o 15 secondi lui si è accorto di me, ne sono sicuro da come si è girato, ma è stato in quel momento che mi sono accorto che non aveva gli occhi. Quello che ne rimaneva era incrostato sul viso, e aveva il segno visibilissimo di un morso sulla spalla. Non si muoveva, ma era come se stesse annusando, come se stesse scandagliando la stanza cercando qualcosa. Cercando me.

Poi mi sono accorto di una cosa.

Si stava decomponendo. La sua carnagione non era bianca come il marmo, come gli altri che ho visto, ma era diventata di un leggero verdastro, con la carne marcescente dove era lacerata da qualche ferita. In quel momento sono stato assalito dalla speranza che dopotutto qualcosa si può fare, che questi fottuti cadaveri non sarebbero andati in giro per sempre a lamentarsi e mangiucchiare le persone normali. Senza pensarci due volte gli ho spalmato il cervello sulla parete con un colpo della mia mazza da baseball e ho chiamato gli altri.

A quanto dice il calendario, se non abbiamo sbagliato i calcoli, è il 31 Dicembre 2011. Tra qualche minuto inizierà il 2012.

Buon Anno.

lunedì

? Dicembre 2012


Pensavo di aver perso questo quaderno durante i terribili giorni di Novembre. L'ho ritrovato per caso fra i miei pochi averi, quasi una settimana fa. Solo ora trovo il coraggio di fare un resoconto sul tremendo mese di Novembre e quello che ha significato per noi. Non so precisamente che giorno sia, dovrebbe essere il 10 o forse il 12 Dicembre. La pioggia batte forte sulle finestre dell'appartamento al quarto piano di un palazzo nel centro di Napoli in cui mi sono rifugiato con altre poche persone, sopravvissute come me. Le scale sono bloccate, loro non possono raggiungerci, ma comunque quasi mai si spingono fino a quest'altezza. A quanto pare le differenze di livello li disorientano. Ho letto e riletto queste pagine, tutto quello che ho sopportato fino ad ora, chiedendomi perché ci affanniamo così tanto. Perché io mi sono affannato così tanto. Qual è lo scopo? Non ci sarà niente dopo di noi, e quindi anche questo resoconto alla fin fine è inutile. A cosa dovrebbe servire?

A Novembre abbiamo visto la morte troppo da vicino. Le forti piogge hanno portato la morte fin dentro il Castello. La città si allaga e i fiumi immondi trasportano resti infetti.
Quando questo succedeva, ci spostavamo tutti ai piani superiori del nostro rifugio, e solo un paio di militari rimanevano ai piani inferiori, guardandosi bene dall'entrare in contatto con quell'acqua infetta, per evitare che un cadavere gironzolante sfruttasse l'occasione per entrare in una zona altrimenti ben sorvegliata.

Un solo errore, uno, e stavamo per buttare il sangue tutti quanti.

Durante l'ennesimo allagamento, l'acqua ha trasportato un mezzo cadavere fin nel cortile del Castello. Un bambino, non più di 5 o 6 anni, senza tutto quello che normalmente un corpo umano ha al di sotto del petto. Sembrava morto, veramente morto. Uno dei nostri ragazzi si è occupato di prenderlo e gettarlo in mare da un parapetto. Peccato che abbia tenuto per sé che prima di farlo, il piccolo bastardo ha aperto gli occhi e gli ha morso un braccio. Durante la notte si è scatenato l'inferno. Il ragazzo, oramai un morto vivente, ha seminato il panico, attaccando gran parte dei sopravvissuti.
Indovinate chi gli ha fracassato il cranio con una mazza?

I feriti stavano già sentendosi male. Terribilmente pallidi, con il bianco degli occhi esposto, deliravano e alcuni di loro vomitavano grumi intrisi di sangue. Prima che si rialzassero, io e gli incolumi siamo fuggiti, sbarrando l'entrata del dormitorio.

31 Ottobre 2011

Ottobre è finito. Comincia a fare veramente freddo di notte.
Qui al Castello l'aria è sempre più triste... la sensazione di non sapere cosa fare, l'impotenza, la mancanza totale di progettualità, ci stanno trasformando in zombie. Vaghiamo, senza uno scopo, tra le mura del Castello. Quando il culo ti fa troppo male dopo aver passato ore seduto senza fare un cazzo, ti alzi e vai in giro, senza alcuna meta. C'è qualche bambino qui, e qualcuno ha proposto di organizzare una festicciola per Halloween stasera, per distrarli un po'.

Solo io penso sia una cazzata?

Comincia a piovere. La pioggia sottile, come una nebulizzazione, mi inumidisce i vestiti e i capelli, ma almeno è la prova che sento ancora qualcosa. Un paio di giorni fa su di noi si è abbattuto un violento temporale, che è durato quasi 2 giorni e 2 notti. Con tutti i tombini intasati da macerie e resti umani, per le strade si è riversato un fiume d'acqua, trasportando resti umani e immondizia senza fare distinzioni.
Tuoni e fulmini in lontananza... ci aspetta un bel temporale. L'altra volta l'acqua è arrivata fino al Castello, e ci siamo spostati tutti ai piani superiori, per non entrare in contatto con quel fiume immondo saturo di resti. Sono rimasti solo un paio di militari per fare la guardia all'entrata, tenendosi su muretti e finestre per non toccare l'acqua. Fa freddo.

Non ho più paura. Non ho più nulla.

In una delle ultime uscite abbiamo davvero rischiato la pelle. Il numero dei vagabondi nelle vicinanze del Castello aumenta sempre di più, come se sentissero che siamo lì dentro. Mi chiedo cosa succederebbe se decidessero di muoversi in massa verso di noi. Continuiamo ad ucciderli, ma sono sempre spropositatamente più numerosi. Stiamo allungando un'agonia in un momento in cui anche un bambino potrebbe ucciderci.

Vado a prendere il fucile.

Si esce.

Buon Halloween.

sabato

22 Ottobre 2011

In un certo senso mi fa male andare in giro per Napoli e vederla in questo stato, ho sempre adorato il modo in cui ti si presenta davanti agli occhi e ti ordina di guardarla. D'altra parte però adoro vedere i suoi abitanti ridotti in questo modo, e potergli tranquillamente piantare una palla in mezzo agli occhi mentre ce ne andiamo in giro sulle camionette dell'esercito rinforzate ad hoc al Castello. Ho sempre odiato il napoletano medio.

BANG

BANG

BANG

Ci sto perfino provando gusto, l'euforia della vendetta per tutte le notti insonni che mi hanno fatto passare e tutto quello che mi hanno tolto. Non ho ancora partecipato ad una delle missioni veramente pericolose, quelle in cui devi scendere dai mezzi per andare in giro a cercare cibo e acqua, per ora faccio solo giri di ricognizione nelle vicinanze del Castello per fare fuori i furbacchioni che si avvicinano troppo.

Di sera, alla luce di una candela, leggo qualcosa, oppure mi metto a pensare, ma chissà perché ho perso tutti i miei pensieri felici.

Credo di essere impazzito, alla fine.

domenica

16 Ottobre 2011


Si può dire che il Castello oramai sia la mia casa, ma non si può dire lo stesso per Miriam. Si è buttata da una finestra due giorni fa, schiantandosi sugli scogli al di sotto. Non la biasimo. Non abbiamo trovato nessuno biglietto o cazzate del genere tra le sue poche cose, ma non mi è difficile immaginare il perché l'abbia fatto.

È la fine che faremo tutti, prima o poi.

venerdì

7 Ottobre 2011

Non mi sembra vero l'aver trovato un po' di pace, il poter stare senza preoccupazioni a fissare il mare. Certo, l'apocalisse sta ancora avanzando per annichilire anche quel poco che è rimasto, ma è come se fossi in un'oasi, in un punto diverso dello spazio-tempo rispetto a quello che è a soli pochi metri da me. Ci sono stati degli attriti appena entrati qui, ma ho deciso di lasciar perdere. Che facciano quello che vogliono, volete le armi, la radio? Ma prendetevi un po' il cazzo che volete, non mi può fregar di meno, basta che mi assicuriate che poi possa stare un po' in pace.
A quanto pare ci ho solo guadagnato da quest'accordo.

Il Castello è sotto il controllo di un gruppo di militari dell'Esercito Italiano, a cui si sono aggiunti dei membri di Carabinieri, Polizia e quant'altro. Non è proprio che comandino, ma ovviamente le persone si affidano a loro per quanto riguarda la loro protezione.

Qui al Castello, oltre i nostri angeli custodi, ci sono un centinaio di persone, forse qualcosa in più. Ci sono un paio di famiglie al completo, e poi disperati come me che hanno perso tutto. Ci sono buone scorte di cibo, armi, ci sono dei generatori per l'elettricità, addirittura dei pannelli solari e qualche batteria. Ogni giorno partono “spedizioni” per riuscire a raccattare quanto più possibile. A volte qualcuno non riesce a tornare. La difesa non è molto complicata, dato che c'è solo il ponte che lo collega alla terraferma da difendere. Ci hanno costruito una specie di muro, ci sono dei riflettori che si accendono ad illuminarlo se qualcosa non va e c'è sempre qualche guardia armata. Ci sono stati un paio di attacchi in massa da quando sono qui, ma niente di serio.

Miriam la vedo sempre più raramente, sta sempre in disparte, e io non la cerco. Vederla mi ricorda brutte cose.

domenica

25 Settembre 2011


Ore 15.37

Ho passato ore e ore ad osservare le ferite sul mio corpo, cercando di capirne il segreto. É evidente che ciò che ha impiantato in me questa cosa, qualunque essa sia, è stato il morso sulla mia spalla sinistra. Tutte le altre ferite sono normali ferite, benché siano passati un paio di mesi e a guardarle si potrebbe giurare che me le sia fatte 5 minuti fa, a parte il fatto che non perdo sangue. La ferita sulla spalla è diversa: è una lacerazione da morso molto tumefatta, i tessuti presentano un inizio di necrosi, ed è contornata da un lieve ematoma e da una leggera raggiera di capillari nero/violaceo. Mi sento sempre meno in me col passare del tempo, sono più irascibile, più violento, molto di più, non provo più alcuna emozione, solo rabbia cieca. Sempre più spesso mi ritrovo in giro, senza sapere dove vado, da dove vengo o come sono arrivato lì, uccidendo chi mi ritrovo sotto mano, vivo o morto che sia. E ho scoperto di poterli comandare. Non so come diavolo sia possibile, ma riesco a imprimere in loro i miei desideri. Non credo sia telepatia, quanto più qualcosa di biologico, come qualche tipo di feromoni o cose del genere. In realtà sto perdendo l'interesse puramente scientifico per quanto mi sta succedendo, tanto non credo possa essere un processo reversibile. Non è una febbre o un raffreddore. In realtà non so bene cosa sia, ma sono certo del fatto che se anche trovassi il modo di rimuovere l'agente infestante la sua rimozione ucciderebbe il portatore. Resta solo da capire se questa situazione sia eterna o no, ed io opterei più per la seconda. Come si dice, chi vivrà vedrà, e per ora, perché non trarne quanti più vantaggi possibili?

mercoledì

21 Settembre 2011

Non siamo più tornati a Pozzuoli. In realtà credo che a Miriam non cambi un cazzo se siamo a Pozzuoli, sulla terraferma o sulla fottuta Luna nello stato in cui si trova. Mi fa pena vederla così.

Siamo rimasti in mare un'infinità di tempo, fino a che le scorte di cibo e acqua sono durate. Né io né Miriam avevamo voglia di scendere a terra e lottare di nuovo con i morti, continuando a scappare, continuando ad avere paura, e poi non sarei potuto andare lontano con quella donna in quelle condizioni. Non mangia, non si muove, non parla. Penso che qualcosa nel suo cervello e nel suo animo si sia spezzato.

Credo che si butterebbe volentieri tra le loro braccia.

Quando ci accorgemmo che non avremmo più potuto stare in mare, ci dirigemmo verso Napoli, costeggiando i porti e il lungomare per scrutare la situazione. Una vista che dava i brividi... tutto era spento, tutto era fermo, tranne l'immonda folla di cadaveri che camminava dappertutto. Ma se nella provincia quello che ho visto mi è sembrato devastazione, qui è stato molto peggio. Sembravano i resti di un fottuto bombardamento durante una fottuta guerra mondiale. Auto con le ruote all'aria, resti ancora fumanti di incendi, crateri nell'asfalto, facciate delle case distrutte.

Una fottuta guerra.

Mi chiedevo se qualche nave militare abbia bombardato quei mostri del cazzo, perché era questa l'idea che mi dava quella vista. E a quanto pare non è servito a un cazzo. Loro sono sempre lì.

La barca andava un po' per i cazzi suoi in realtà, mentre io ero, come dire, in un qualche modo incantato da quella vista, e non mi resi conto nemmeno della piccola barca a remi che si avvicinò alla nostra, finché non sentii un “Non muovetevi!” esclamato in tono deciso dall'altro lato della monoalbero. Due tizi, in piedi in una barchetta e con una pistola ciascuno, mi guardavano. Miriam uscì fuori all'improvviso, pallida, con delle occhiaie da far paura e gli occhi gonfi di pianto, e i due sussultarono vedendola sbucare all'improvviso. Lei non disse nulla, li guardò fissi senza dire una parola.
Chi siete e da dove venite?” mi chiesero, con un forte accento napoletano. Tentai di spiegare velocemente tutte le nostre vicissitudini, omettendo l'omicidio del soldato Joe. In realtà non furono molto interessati alla risposta. Salirono sulla nostra barca, sempre puntandoci contro le pistole. “Adesso venite con noi” ci disse uno dei due, mentre l'altro scendeva sottocoperta a vedere se c'era qualcun altro.
" Non vogliamo farvi del male, ma dovete venire con noi”

Ci portarono a Castel dell'Ovo e ci fecero scendere. Uno di loro prese anche i nostri pochi bagagli, comprese le armi, e ci condussero all'interno del castello.


sabato

17 Settembre 2011

La notte prima di toccare terra fui svegliato da delle urla. Mi guardai intorno e Joe non era nella cabina che dividevamo per dormire. Presi il fucile e corsi fuori, pensando che in qualche modo quei mostri erano riusciti a raggiungerci, e vidi la piccola Anna piangere fuori dalla porta della cabina in cui dormiva con la madre. La porta era chiusa, e dall'interno sentivo le urla di Miriam e la voce di Joe che mormorava qualcosa. Sfondai la porta con un calcio, e vidi quello che temevo di vedere. Miriam aveva i vestiti strappati e i capelli in disordine, e tentava di proteggersi da Joe che la tirava a sé, con una maglietta indosso e nient'altro. Preso dal panico mi partì un colpo, che raggiunse Joe allo stinco sinistro; un urlo fortissimo uscì dalla sua bocca, e penso che quello fu il momento in cui si accorse che qualcun altro era nella stanza insieme a loro. Mi guardò, con degli occhi da pazzo, e nonostante il proiettile nella gamba si fiondò su di me, con un coltello stretto nella mano. Nella colluttazione che seguì, Joe mi infilò il coltello nel bicipite del braccio destro e io lo colpii alla tempia con il calcio del fucile. Joe cadde tra le mie braccia e per non rinvenire più.
L'avevo ucciso. Io ho ucciso un uomo. Uno vivo.
Miriam mi guardò, e nel suo sguardo la paura per quello che stava per accadere era stata sostituita da una strana tranquillità. Si alzò senza dire una parola, si cambiò i vestiti e poi andò dalla figlia per tranquillizzarla. Mi lasciò da solo col cadavere di Joe. Il braccio mi faceva un male cane, ma riuscii comunque a trascinare il corpo del soldato per buttarlo fuori bordo. In un mondo risotto così, questo è il miglior funerale che si può sperare di avere.
Solo ora mi accorgo che sto scrivendo al passato remoto. Per quanto recenti, gli ultimi avvenimenti mi sembrano lontani nella memoria, come se il mio stesso corpo stesse tentando di rimuoverli. Credo che in circostanze del genere il nostro stesso cervello si voglia proteggere, relegando gli orrori nei più bui anfratti della nostra memoria.
Dalla morte di Joe, gli unici maschi a bordo siamo io e il piccolo Roland, che è anche abbastanza cresciuto da quando entrò per la prima volta in casa mia, secoli e secoli fa.

Quando scendemmo a terra, ci sembrò tutto troppo calmo, paurosamente calmo. Non c'era nessuno in giro, né vivo né morto, e non si sentiva un rumore. Le porte e le finestre delle case erano tutte chiuse, e regnava un'atmosfera degna di una città fantasma come quelle che si vedono nei film dell'orrore. Era tutto così silenzioso che anche respirare sembrava provocare troppo rumore. Caricai il fucile, e ci inoltrammo nella prima strada che vedemmo. La fortuna volle che riuscissimo a trovare un piccolo negozio di alimentari, con la porta solo accostata; entrammo e rimanemmo sulla soglia, aspettando di vedere da un momento all'altro uno di loro, ma tutto sembrava tranquillo. Prendemmo qualche cosa da mangiare, riempendo i nostri zaini, e anche delle bottiglie d'acqua, facendo il tutto nel minor tempo possibile, dopodichè ritornammo in strada, cercando qualcosa, o qualcuno. E fu allora che successe l'impensabile.
Girammo un angolo, e sulla strada vedemmo decine e decine di morti seduti sull'asfalto a non fare assolutamente niente, però chissà per quale motivo, chissà grazie a quale infernale senso dato loro, si accorsero di noi, ed iniziarono ad agitarsi. Si alzarono e ci puntarono, come un predatore con la sua preda, e iniziarono a correre.
Ci presero totalmente alla sprovvista, ma non avrei potuto fare niente contro un'orda inferocita da solo con il mio mitra. Sparai un paio di raffiche e poi ci mettemmo a correre. Non so come cazzo sia possibile, ma per quanto impacciati possano sembrare normalmente, quando vogliono correre, corrono. Cercammo di ritrovare la via che avevamo percorso fin lì, ma presi dal panico penso che facemmo un tragitto più lungo. Erano spaventosamente veloci, e le urla che lanciavano mi facevano rizzare i peli sul collo e gelare le palle, e quando eravamo quasi arrivati, fu allora che, non so come, riuscirono a strappare Anna dalla madre. Fu una cosa di pochissimi secondi, e già i denti di un paio di loro stavano affondando nella carne della bimba. Dovetti letteralmente stringere Miriam e trascinarla correndo per gli ultimi metri, perché stava per tornare indietro e gettarsi in mezzo a loro, per salvare la figlia in lacrime. Tra urla e pianti la issai sulla barca e facendo il più presto possibile riprendemmo il mare, mentre l'orda si arrestava sul mare, spingendo i morti che stavano più avanti giù nell'acqua.
Ho dovuto lottare non poco per impedire a Miriam di gettarsi in mare, tentando inutilmente di calmarla, ma come calmare una madre a cui una figlia e stata strappata in questo modo? Come si può pensare di fermare il pianto, di distrarla dal dolore?
La verità è che non si può, e che è giusto che una madre pianga la propria figlia.

Cosa fare ora? Dove avremmo potuto andare? Tornare indietro a Pozzuoli a recuperare il blindato? E per andare dove?

lunedì

12 Settembre 2012


Eravamo tutti lì, coi nasi attaccati ai finestrini, a guardarla. Una barca a vela, non troppo grande ma in perfetto stato, che galleggiava andando alla deriva a qualcosa come 200 metri dal lungomare, apparentemente senza nessuno a bordo. Il problema era riuscire ad impossessarsene e portarci armi e cibo. Qualcuno di noi avrebbe dovuto raggiungerla a nuoto, per avvicinarla e permettere agli altri di salire portando anche gli zaini. Il tutto inoltre doveva essere fatto evitando i cadaveri che già si stavano avvicinando al blindato, e sperando che, come ipotizzammo, questi cazzo di mostri scoordinati non fossero in grado di tuffarsi in acqua e nuotare. Decisi di andare io, lasciando il soldato in compagnia di Miriam e Anna. Una volta a bordo avrei portato la barca al molo, dove sarei stato raggiunto dagli altri, di modo da permettere agli altri di salire più facilmente e velocemente con le borse addosso e per seminare gli zombie che ci stavano seguendo per tutto il nostro giretto. Portai con me solo la mazza da baseball, infilata nella cintura. Uscii dal blindato, con Joe e il suo fucile a coprirmi, e mi diressi verso gli scogli che dividevano la strada dal mare. Anche sugli scogli era pieno di cadaveri, il cui sangue scorreva nell'acqua dandole un colorito roseo. Mi tuffai stringendo occhi, naso e bocca tanto forte da farmi male, e nuotai alla cieca per un po'. Quando decisi che avevo percorso abbastanza strada, e il sangue non avrebbe più potuto infettarmi, aprii gli occhi, e aggiustando un poco la rotta nuotai fino alla barca. Era un bel monoalbero di una decina di metri, con tutta la strumentazione in ordine, due cabine e il motore con ancora carburante. Sul ponte c'erano i corpi di due uomini con due pistole e due buchi in mezzo al petto. Suicidio in compagnia? Un diverbio? Non me ne fregava un cazzo. Spinsi i due corpi in acqua, tenendomi le pistole, e presi i comandi. Non molto tempo prima non credo proprio che avrei reagito così di fronte a due cadaveri. La necessità cambia le persone. 
Arrivai al molo in pochi minuti, e quasi in sincronia arrivarono gli altri. Li aiutai a caricare la roba sulla barca, e poi dissi a Joe di chiudere il blindato a chiave. Non si sa mai. Anna era contenta, non era mai stata su una barca così, e mi ha fatto piacere mentre con Roland ne esaminava ogni angolo. Quando ha notato le macchie di sangue ho fatto finta di niente e ho mentito dicendo che era solo vernice fresca. Ci siamo allontanati dal molo, mentre un gruppo di loro si stava radunando attorno al blindato, cercando qualche segno di vita. C'era una vecchia signora che poteva essere mia nonna, con le ciabatte e la vestaglia, una vistosa porzione di muscolo esposta sul braccio sinistro e sangue incrostato attorno la bocca.

Il GPS della barca era ancora funzionante, e trovò la nostra posizione. Lo impostai tranquillamente sulla rotta verso Procida, poi dopo 5 minuti mi resi conto che quello era il primo strumento elettronico ancora in funzione che toccavo da mesi. Mi diede una strana sensazione e un brivido mi salì lungo la schiena. Il viaggio sarebbe durato una mezz'ora scarsa, ma Miriam ebbe l'idea di rimanere uno o due giorni fermi in mare, a rilassarci un po', visto che le provviste non ci mancavano e in mare non avrebbero potuti raggiungerci. Fu davvero una buona idea, per un paio di giorni ci dimenticammo degli ultimi mesi passati vivendo nella paura di poter morire per ogni piccolo errore, e fummo solo 4 persone che si godevano un paio di giorni di vacanza.

In cabina c'era un lettore DVD e dei film, delle canne da pesca, cazzo c'era anche una bottiglia di ottimo champagne.
É stato bello.

giovedì

8 Settembre 2011


Ore 12.17

Sono vicino alla soluzione, ma non riesco a vederla. Se riuscissi ad analizzare un campione senza perderlo penso che potrei riuscire a capire cosa sia successo, ma per ora posso solo analizzare i dati che sono riuscito a raccogliere. Ho aperto decine di teste, e la soluzione ogni volta si è distrutta davanti ai miei occhi. Il cervello degli infetti sembra essere avvolto da filamenti come di ragnatele, o di un qualche tipo di micelio di una qualche infernale forma fungina, ma purtroppo qualsiasi cosa sia, appena entra in contatto con l'aria si dissolve, polverizzandosi. Questo dev'essere anche il motivo per cui l'unico modo per fermare gli infetti è sfondandogli il cranio. A contatto con l'aria il parassita, sono assolutamente sicuro che si tratti di un qualche tipo di parassita, si dissolve. Credo che per lo stesso motivo l'infezione non si diffonda per via aerea ma solo tramite i fluidi. Non riesco più ad essere lucido come prima, ma almeno ho conservato il mio raziocinio. La vista mi si annebbia, a volte mi sento come impazzire, ma sto bene.

Mi guardo allo specchio e vedo uno di loro.

domenica

4 Settembre 2012


Se continuo a scrivere è solo per rispettare l'impegno preso, per raccontare tutta la storia.
È stato un disastro, un disastro completo.

Abbiamo aspettato ancora qualche giorno nella casa a Pozzuoli, approfittandone per mangiare finalmente dei veri pasti caldi, rilassarci per quanto possibile, fare una vera doccia. La casa in cui eravamo rintanati era perfetta, con un bel muretto di mattoni alto abbastanza da non poter essere superato dall'orda di zombie e il cancello bloccato da una grossa monovolume. L'unico difetto era il cadavere dell'ex proprietario suicidatosi con un'elevata dose di sonniferi e alcool nella camera da letto principale. Tutte le stanze sono piene di foto di lui e sua moglie, e anche dei figli, ormai grandi e con famiglia. Doveva vivere solo da un bel po', e ha preso la decisione di non tornare. La decisione migliore che si può prendere in un mondo dove i morti continuano a camminare. Nessuno dovrebbe vedersi togliere il diritto di godersi la sua pace alla fine.
Io voglio morire in pace.
Non esiste che diventi uno di loro.
Mai.

Non appena la folla di erranti fuori dal cancello ci è sembrata diradarsi, siamo corsi al blindato. In realtà andare in giro con quell'affare è tranquillizzante. Non c'è modo che riescano ad entrare, perfino nell'eventualità di un ribaltamento non credo che riuscirebbero facilmente a violarlo, quindi non c'è bisogno di mettersi in piedi sul cassone a fare Rambo come col Mitsubishi che ho abbandonato. Basta non guardare fuori dal finestrino e quasi ti sembra che sia tutto normale. Poi arrivi al porto e ti ricordi il fottuto incubo che stai vivendo. È stato raccapricciante ma allo stesso tempo bellissimo, bellissimo come può esserlo l'esplosione di un pianeta che ne uccide qualsiasi forma di vita, come i video dei test nucleari in cui le case crollano e le nuvole si spostano, come quando alla televisione guardavi il leone che affonda i denti nel collo della gazella, sporcandosi di sangue caldo e dolce. Mucchi di corpi ricoprivano il molo, budella e sangue sparsi ovunque, qualcuno di loro che ancora si agitava in mezzo a tale devastazione, qualcun altro che si trascinava sulle mani, non potendo più usare le gambe per chissà quale motivo, e gabbiani... tanti gabbiani che si nutrivano in mezzo a tutto questo schifo, dibattendosi sugli orrendi corpi senza vita che ricoprivano l'asfalto. Miriam non riusciva a guardare, e teneva stretta Anna in un disperato tentativo di proteggerla da quello che il nostro mondo è diventato. E in tutto questo, neanche una barchetta. Niente. Non c'era alcuna traccia della presunta nave di soccorritori. Se mai c'è stata, abbiamo ritardato troppo.
Tutto quello che riuscivamo a vedere erano rottami e carcasse mezze piene d'acqua. Tutto quello che poteva muoversi era già stato portato via. Il soldatino ha cominciato a sbraitare tra sé e sé, per poi alzare progressivamente il volume ritrovandosi ad urlare che siamo fottuti e moriremo tutti. Anna ha cominciato a piangere, Miriam ad urlare e Roland ad abbaiare. Non ne vado fiero, ma ho puntato loro un fucile intimandogli di smettere. Joe mi ha guardava a denti stretti, soffiando forte tra i denti il suo respiro pesante, Miriam mi guardava stupita, come se non mi conoscesse, mentre Anna le buttava le braccia al collo piangendo silenziosamente con la faccia schiacciata contro la spalla della madre. Una strana calma si è impadronita di me, mentre facevo spostare il soldato dal posto guida. Ho pensato, ci ho pensato davvero, che premendo quel grilletto avrei potuto mettere fine alla nostra disperazione; ho pensato, e se c'è un dio, che mi perdoni per questo, che uccidendo Anna avrei salvato la sua innocenza, per cui non c'è spazio a questo mondo; ricordo chiaramente di essermi chiesto, alla fine, a cosa servisse realmente il nostro scappare, il nostro tentare di sopravvivere, e ricordo la risposta che mi sono dato da solo.
Solo a rimandare la nostra morte.
Non c'è alternativa, prima o poi moriremo, e quando quel momento arriverà, a cosa sarà servito il nostro affanno, se non ad alimentare il baratro di orrore che si è aperto in noi dall'inizio di questo inferno?

Ho guidato il blindato sul lungomare, schiacciando cadaveri e travolgendo morti viventi, con lo sguardo sempre rivolto all'acqua in cerca di qualcosa. Un paio di volte il mio sguardo ha incrociato quello del mio riflesso nello specchietto retrovisore, e quello che ho visto non ero io, la persona che mi guardava era più spigolosa, più brutta, non solo fisicamente, con quegli occhi da pazzo cerchiati di rosso e quell'espressione dura, cattiva, quasi violenta. Ma all'improvviso... eccola! La nostra salvezza galleggiava alla deriva di fronte al lungomare di Via Napoli.

È passata quasi una settimana, e sono ancora su questa fottuta barca, in mare, ad osservare la terra ferma.

lunedì

29 Agosto 2011

Ieri notte ci siamo mossi verso Pozzuoli. Sono ancora con loro. Ho provato ad andarmene, a sgattaiolare via come un ladruncolo, ma sono stato sorpreso da Miriam. Con la mano sulla maniglia della porta, e uno zaino da campeggio con cibo, armi e vestiti sulle spalle, ho sentito la sua voce dietro di me. “Buona fortuna”, mi ha detto. Sono rimasto impietrito, pensando che se fossi uscito di lì non avrei potuto bloccare la porta, condannandoli ad una morte certa. “Se vuoi farlo io non ti fermerò, forse è meglio morire subito piuttosto che andare avanti così.”. Ed è ritornata a dormire nella sua tenda, con sua figlia e il piccolo Roland, che oramai è di proprietà di Anna. Mi sono sentito un vero coglione, non saprei dire perchè. Il mattino dopo l'ho aiutata a preparare la colazione per tutti, in silenzio. Nessun altro conosce questa storia. Ma ho comunque detto agli altri che avremmo fatto meglio ad andarcene, perchè con le scorte di cibo praticamente finite sarebbe stato inutile rimanere chiusi lì dentro. Saremmo dovuti uscire a cercare qualcosa, o spararci un colpo in fronte e farla finita così. Continuare a fuggire e a nasconderci non ci porterà da nessuna parte, dobbiamo cercare di reagire, di trovare altri sopravvissuti, di fare qualcosa. L'unico modo per riuscire ad andare avanti è accettare la situazione e cercare di affrontarla al meglio.
Abbiamo deciso di muoverci comunque verso il porto: se troviamo qualcuno bene, se non troviamo nessuno, tenteremo di prendere una barca per dirigerci verso le isole e vedere lì com'è la situazione. Ora siamo in una casa in prossimità del porto, ma è molto buio e lì fuori c'è molto movimento, quindi aspetteremo il giorno per decidere il da farsi. Arrivare qui tutto sommato non è stato molto difficile. Tutte le cose indispensabili e le armi le abbiamo caricate in 4 zaini da campeggio, e con il mio Mitsubishi (cristo, mi ha aiutato in un sacco di situazioni!) ci siamo mossi dall'oramai odiatissimo negozio di attrezzature sportive attraverso il parcheggio pieno di morti, verso un blindato dei militari. Miriam alla guida, Anna e Roland nell'abitacolo con lei, e io e il soldato Joe nel cassone coi fucili spianati e i bagagli. Il tragitto non era molto lungo, l'abbiamo percorso in pochi secondi, travolgendo un paio di zombie e sparando a quelli più vicini. Non ci siamo preoccupati molto del rumore, perchè avremmo dovuto fare il trasferimento da un mezzo all'altro in pochi istanti e così è stato. Il blindato è un mezzo abbastanza grosso e pesante, con un abitacolo per 4 persone e un cassone coperto sul retro. Il soldato Joe ci ha spiegato, mentre guidavamo fuori da quell'inferno diretti verso la superstrada, che quello che stiamo usando è un mezzo di nuova generazione, chiamato Lince, blindato al punto che in Afganistan resiste a mine e colpi di bazooka. Ha un'autonomia di 500 km e può trasportare un paio di tonnellate di attrezzatura. Come se non bastasse nel cassone abbiamo trovato qualche tanica di carburante piena e un paio di fucili d'assalto in più con un buon numero di munizioni. Chiunque l'abbia portato dov'eravamo noi, ci ha fatto un bel regalo, prima di fare una fine di merda. Il tragitto sulla superstrada e poi sulla tangenziale è stato abbastanza tranquillo. Certo, c'erano automobili abbandonate un po' ovunque, ma a noi non interessava correre. Ne abbiamo incontrati solo un paio in prossimità dell'uscita della tangenziale, che camminavano in un modo quasi ridicolo verso di noi. Con la luce dei fari puntata su di loro, sembravano mimi su un palco. Gli abbiamo fatto saltare la testa con i fucili d'assalto.

Il centro di Pozzuoli è tutta un'altra storia invece. Le macchine sono talmente ammassate e ci sono talmente tanti mostri per strada che affrontare tutto di notte sarebbe stato un suicidio. Abbiamo girato un bel po', e fatto anche un bel po' di casino tra il blindato e un paio di colpi sparati agli zombie più vicini, tanto che per entrare nella casa in cui siamo ci abbiamo quasi lasciato la pelle. Oggi non ci siamo mossi perchè tutto il trambusto di ieri notte ne ha attirati un po' troppi qui intorno.

Appena possibile, ci muoveremo.

mercoledì

17 Agosto 2011

Mi sono svegliato pensando a mio fratello. Non che non ci avessi pensato in questi giorni. L'ultima volta che l'ho sentito doveva essere marzo o aprile, poco prima del collasso delle comunicazioni. Sembrava tranquillo, cazzo in quel periodo nessuno si aspettava tutto questo. Chissà ora che fine ha fatto... spero per lui che sia riuscito a salvarsi, a nascondersi, o spero che sia morto, morto davvero, e non sia diventato uno di loro. Se mai dovessi incontrarlo, se mai mi trovassi faccia a faccia con lui, e lui fosse diventato uno di loro, giuro che metterei fine al suo tormento con le mie mani. Non potrei mai lasciare che rimanesse in questo miserabile stato.

La situazione qui non la reggo più. Stiamo perdendo la testa. La claustrofobia e la paura ci stanno facendo impazzire. Non reggo più tutto questo stress, le urla per un nonnulla, le paranoie. E a risentirne non sono solo io, anche la piccola Anna non sorride più, non gioca più. Si stringe al piccolo Roland, accarezzandogli il pelo senza dire una parola. Si fa sempre più presente nella mia testa l'idea di andarmene e lasciare qui questo branco di pazzi. Sarei solo, è vero, ma qui la situazione sta degenerando. Il soldatino si diverte a fare il capo, e sembra che abbia sviluppato anche un certo sadismo. Sempre più spesso sale sul tetto e passa ore a osservare i morti che camminano fuori dall'edificio. Un paio di giorni fa sono salito per fumarmi una sigaretta e l'ho trovato col fucile puntato verso un gruppetto di sei o sette zombie. Quando si è accorto di me si è voltato, con degli occhi da pazzo e mi ha detto: “Voglio tu sappia che io non esiterei un momento a piantare un proiettile in fronte ad ognuno di voi se doveste diventare come loro. Promettimi che farai lo stesso con me.”. È rimasto a fissarmi aspettando una risposta che io non riuscivo a dargli, stavo lì con la sigaretta che ancora spenta pendeva dalle labbra. Lui ha sorriso ed è sceso giù. Miriam cerca di mantenere la calma, ma è chiaro che anche lei è al limite. Sta sempre a parlare tra sé e sé, non gioca più con la figlia, rimane sempre in disparte. Gennaro, il vecchio, beh... lui si è suicidato. L'ho trovato io nel magazzino, appeso per il collo ad una trave. Nessun biglietto come nei film, solo la immobile passività di quel corpo appeso con le corde delle tende da campeggio, un rivolo di sangue dove la corda ha escoriato la pelle e nient'altro.

Abbiamo avvolto il suo corpo in un telo e l'abbiamo gettato dal tetto.

Devo andarmene da qui.

10 Agosto 2011

Non è stato un bel periodo... con quello che è successo...
Dopo aver ucciso quella decina di cazzoni c'è stato un forte suono di schianto, e come degli imbecilli siamo andati lentamente in quella direzione. Come potevamo sapere?

Il rumore veniva dal reparto elettrodomestici, ma arrivati lì non abbiamo visto nulla, a parte un grosso televisore fracassato sul pavimento. Ma poi alzando gli occhi abbiamo visto.
Lui, il tizio del parcheggio, quello che mi seguiva. Stava lì, in piedi sulla cima di uno scaffale a guardarci, con i suoi occhi rossi e un'espressione di sfida. Non era come tutti gli altri cazzo di zombie, lui ci stava prendendo per il culo. 
Ci stava sfidando.
Joe ha dato una forte spallata allo scaffale facendolo cadere e il mostro è crollato giù travolto da una miriade di apparecchi elettronici, ma poi si è rialzato, lentamente, e ci guardava mentre estraeva dal suo torace pezzi vari di plastica o metallo conficcati nella carne. Abbiamo iniziato a correre, totalmente presi dal panico, e lui ha lanciato un urlo e ha iniziato ad inseguirci. Non so dire perché non l'abbiamo fatto secco lì sul posto... siamo stati completamente presi alla sprovvista, nessuno di noi si aspettava una cosa del genere. Ci siamo nascosti dietro un angolo e nella totale oscurità Joe. sporgendosi oltre il muro, ha sparato un paio di raffiche nella direzione da cui venivano i passi in corsa di quel cazzo di abominio. Dopo qualche secondo di totale silenzio abbiamo acceso le torce, e l'unica cosa che abbiamo visto è stata qualche macchia di un fluido che solo lontanamente sembrava sangue. Senza pensarci due volte abbiamo preso la via per l'uscita, il più silenziosamente possibile, ma è stato inutile. Eravamo quasi fuori quando il mostro è saltato giù dal soffitto o da dove cazzo stava ad aspettarci e ha preso Totò, usandolo come scudo e mordendolo sul collo. Non sapevo cosa fare davanti a quello spettacolo, ma Joe ha preso la decisione più razionale, uccidendo entrambi con un colpo in mezzo agli occhi. 

La decisione più razionale, non la più giusta.

Al momento non riuscivo a pensare, sono saltato in macchina con il soldatino e siamo tornati di corsa dagli altri con quello che siamo riusciti a recuperare. Solo dopo, ore dopo, quando il senso di shock mi ha lasciato, ho riflettuto. In lontananza, come da dietro un muro di ovatta, sentivo Joe e Miriam discutere molto, molto animatamente, mentre dentro di me non riuscivo a non pensare di essere diventato un mostro.

Un ragazzino ci ha rimesso la pelle per un paio di latte di fagioli. Questo è il mondo che ci aspetta da oggi in poi. Come cazzo possiamo solo sperare di andare avanti? Quando tutto il cibo in scatola sarà finito o marcito, come andremo avanti? Coltiveremo la terra? Magari ci faremo aiutare da quel bruttone in lontananza senza un braccio che cammina barcollando verso di noi. Sto dormendo malissimo, ho costantemente davanti agli occhi il ragazzino con i denti del mostro conficcati nella carne. Mi ripeto che era già morto, che abbiamo fatto bene. Mi ripeto queste frasi una dopo l'altra come un rosario, ma non riesco più a dormire comunque.

sabato

6 Agosto 2011

Questa mattina presto, alle prime luci dell'alba, siamo andati in missione.
Joe ha cacciato dal magazzino tre tute antisommossa della polizia; dice che le ha recuperate prima di rifugiarsi qui dentro da uno dei furgoni che stanno qui fuori, in attesa del giusto momento per utilizzarle. Mi sembrava stranamente eccitato da tutto questo.
I tre prescelti ovviamente siamo stati io, il soldato Joe e Totò, anche perché oltre noi tre il resto dei sopravvissuti consistono in un vecchio e una mamma con una bimba piccola. Così bardati, con i caschi blu, gli stivaloni, i guanti e le protezioni a torace, ginocchia e gomiti, mi sentivo un po' come quegli invasati che manganellavano i ragazzini alle manifestazioni. Ovviamente non l'ho detto ad alta voce, avevo come l'impressione che il soldatino ne sarebbe stato un tantino contrariato. Io ho preso anche la mia pistola e il fucile d'assalto, Joe si è portato un fucile identico al mio e una pistola mitragliatrice Uzi. A Totò, nonostante le mie proteste, non abbiamo dato armi da fuoco, ma solo una mazza da baseball e una da hockey. Cazzo, sembrava quel tizio nel cartone animato delle Tartarughe Ninja.
Scherzi a parte, devo confessare che stamattina mi sentivo molto sicuro all'interno della mia bardatura, gli unici centimetri di pelle esposta erano quelli sotto la visiera del casco, ed ero molto determinato ad impedire a chiunque di arrivare così vicino. Prima di andare, abbiamo lasciato a Miriam e Gennaro, il vecchio, una pistola ed il fucile di mio nonno.

Per andare all'edificio principale del parco commerciale abbiamo deciso di prendere il mio Mitsubishi, dato che è vicinissimo alla porta. Abbiamo portato anche un paio di balestre, silenziose e letali, con una buona scorta di dardi. Io e Totò siamo saliti in auto, indossando sempre i caschi per via dei vetri incrinati, mentre Joe si è messo nel cassone con le balestre e le sue armi da fuoco. Abbiamo concordato di passare per la stradina di servizio sul retro degli edifici piuttosto che per l'ampio parcheggio, ancora pieno di morti viventi. È stata una corsa folle, con Joe che con la balestra ha sparato a due o tre zombie che si sono avvicinati troppo. Sembrava uno di quei merdosi film horror di serie z, ma alla fine siamo riusciti ad arrivare integri all'edificio principale, dove ci aspettava la parte più pericolosa della nostra spedizione. Siamo stati qualche secondo fermi davanti all'entrata, cercando di recuperare il coraggio necessario e di calmare gli agitatissimi battiti del cuore. O almeno per me è stato così.
Dopodiché siamo entrati.

L'edificio è a pianta rettangolare, con due corridoi paralleli che lo tagliano in lungo e 3 o 4 corridoi più piccoli ad unire i due principali, il tutto a fare da contorno ad una miriade di negozi in prevalenza di abbigliamento, e al grande supermercato che sta da un lato di uno dei corridoi principali. Tutto era completamente diverso dall'ultima volta che ci sono stato. Prima era tutto colorato, invaso da persone, musica di sottofondo, annunci pubblicitari, caos... invece stamattina era buio, silenzioso, spettrale. Tenevamo i fasci delle torce molto bassi per non attirare troppo l'attenzione di qualche eventuale ospite. C'erano cadaveri riversi sul pavimento in pose innaturali, molte pozze di sangue, molti segni di trascinamento o schizzi. Non voglio nemmeno immaginare come siano andate le cose lì dentro. Sentivo chiaramente Totò tremare, mentre stringeva la sua mazza da hockey puntandola dove puntava la torcia. Non osavamo parlare, comunicavamo a gesti. Siamo andati subito in direzione del supermercato, entrando dal lato del reparto ortofrutticolo, e subito il fetore di frutta e verdura marcia ci ha assalito. Prevedibile. Il nostro obiettivo era cibo in scatola, che avrebbe dovuto essere ancora in buone condizioni.

Quando ci hanno assaliti stavamo riempendo gli zaini. Erano una decina, e correvano verso di noi da entrambi i lati del corridoio in cui ci trovavamo. Totò si è buttato per terra con la testa tra le ginocchia, urlando di paura, mentre io e Joe ci siamo messi schiena a schiena, come in un pessimo film d'azione, e abbiamo fatto fuoco con i fucili d'assalto. Il tutto è durato mezzo minuto, non di più. Una sventagliata di mitra e i brutti mostri cattivi erano tutti per terra. Uno, ancora vivo, tentava di trascinarsi con le mani verso di noi, ma Joe gli ha sfondato la testa col calcio del fucile. Siamo rimasti per un'eternità in completo silenzio, cercando di capire se tutto il rumore che avevamo fatto ne avesse attirati altri, dopodiché abbiamo continuato il nostro giro di ricognizione.


Ma ora sono stanco.

Continuerò presto.

lunedì

1 Agosto 2011

Normalmente questo sarebbe periodo di vacanze.
Normalmente la gente in questo periodo sarebbe andata al mare, in montagna, all'estero.
Magari sarebbe rimasto anche qualcuno a lavorare, bestemmiando nella calura estiva.

Ma il tempo della normalità è finito, almeno per come la intendevamo noi.

Anche noi sopravvissuti non siamo più normali, siamo diventati spettatori forzati del declino dell'essere umano.
Quando noi non ci saremo più, il mondo sarà loro.

È così in tutto il mondo? Cristo, come cazzo si può saperlo? Ma se non lo fosse, perché qualcuno non viene a salvarci?

L'altro giorno il ragazzino, Totò, ha dato di matto. Ha avuto una crisi di nervi e ci è voluto un bel po' per tranquillizzarlo. Continuava ad urlare che siamo fottuti, che non ci aiuterà mai nessuno, che siamo in quarantena e il resto del mondo sta solo aspettando che moriremo tutti.
E se fosse davvero così? Cristo... è impossibile... e poi prima del black-out arrivavano notizie di situazioni analoghe anche dagli altri paesi...

Stiamo entrando in paranoia. La clausura e la convivenza forzata, l'agitazione e la paura, ci stanno fottendo il cervello, arrivando anche a metterci gli uni contro gli altri. Le discussioni si fanno sempre più frequenti, anche per cazzate.

Cumuli di cadaveri si affiancano ai cumuli di immondizia che si erano ammassati per le nostre strade prima di tutto questo, marcendo insieme sotto il sole estivo. Siamo obsoleti. Una nuova razza ha preso il nostro posto.
Moriranno prima o poi? Qualsiasi cosa li mantenga in piedi, si fermerà prima o poi? Questo sarà l'avvenimento che ci porterà all'estinzione o ne usciremo rinati?

Forse semplicemente la Madre Terra si è stancata di noi, abbiamo preteso troppo e siamo stati puniti. La nostra parabola alla fine è diventata discendente. Magari loro sono il vaccino al cancro che abbiamo rappresentato per questo pianeta. Finita la loro missione, quando anche l'ultimo essere umano sarò morto, magari scompariranno anche loro, e la Natura riprenderà il suo corso, si riprenderà i suoi spazi. Le città scompariranno in una rinascita vegetale, e saranno abitate da esseri viventi più rispettosi di quanto noi siamo mai stati. Niente più cemento, niente più immondizia, niente più guerre, niente più distruzione incontrollata dell'ambiente. Il fottuto riscaldamento globale, il buco dell'ozono, l'inquinamento, il petrolio in mare, tutto tornerebbe alla normalità senza di noi. 

A vederla così quasi quasi ci trovo qualcosa di poetico. Madre Natura ha attivato il suo fottuto antivirus.

giovedì

28 Luglio 2011

Ormai è più di una settimana che siamo rinchiusi qui. Si è vero, dovremmo cercare un modo per andarcene, trovare un posto in cui la sopravvivenza sia assicurata, ma un po' di riposo ha fatto miracoli per tutti. Sembravamo dei relitti umani, ora perlomeno siamo un po' più tranquilli. Anche la vicinanza ci ha fatto bene, il fatto stesso di poter parlare con altri esseri umani.
Questo posto è abbastanza sicuro: le uniche entrate sono quelle principali, che sono sbarrate per bene, l'accesso secondario da cui sono entrato io, che è bloccato, e sul retro la zona di carico e scarico merci, che è sigillata da pesati saracinesche. L'unica via di accesso potrebbe essere il tetto, ma non penso che quei fottuti mostri abbiano la coordinazione necessaria per scalare la facciata di un edificio, e comunque la botola che porta sul tetto è chiusa dall'interno. Ma niente può impedire al puzzo dei cadaveri che si stanno putrefacendo sotto il cocente sole estivo di entrare e ammorbare il nostro apparato respiratorio.
Lì fuori i morti continuano a camminare, inconsapevoli del fatto che vicinissimi a loro ci sono delle potenziali vittime. In realtà, penso che in qualche modo sappiano, o meglio sentano, che noi siamo qui. Capita sempre più spesso che, senza alcun motivo apparente, uno o due di quei cosi spendano un po' di tempo a battere i pugni contro le entrate urlando come se il fatto di non poter entrare li infastidisse. C'è qualcosa nel loro cervello che gli dice che noi siamo qui dentro.

Il soldato Joe (vuole veramente che lo si chiami Joe, in realtà si chiama Giovanni) sta diventando irrequieto, vorrebbe uscire e fare questa missione di recupero cibo. Compagnia o no, ci sono stati comunque un paio di momenti di tensione in questa settimana. La convivenza forzata non è sempre piacevole, ma oramai dobbiamo accettare il fatto che le nostre vite non sono più quelle di una volta.

Cristo, vorrei una bella doccia calda... La situazione igienica non è così terribile, a parte il fatto di dover fare i propri bisogni in dei secchi, e poi svuotarli dal tetto, però almeno in magazzino abbiamo trovato i prodotti per le pulizie, di modo che il piccolo bagno non puzzi come una fogna. Per l'igiene personale, utilizziamo le stesse scorte d'acqua che usiamo per bere, e con questo caldo finiscono in fretta. Un paio di giorni fa c'è stato un violento acquazzone, e abbiamo raccolto quanta più acqua piovana possibile di modo da farla bollire e usarla. Dormiamo nelle tende da campeggio del negozio, una per ciascuno, distesi sui dei discretamente comodi materassini gonfiabili. L'alimentazione per ora non è un problema, abbiamo una buona scorta di Razioni K militari, che contengono pasta e carne, frutta secca o sciroppata e latte condensato, e in più abbiamo anche quello che ognuno e riuscito a portare con sé. Da questo punto di vista Miriam, la giovane mamma, è un genio. Riesce a preparare piatti buonissimi con le pochissime cose a disposizione e preparando tutto con i fornellini da campeggio che stanno qui in negozio. Sua figlia, Anna, ha stretto amicizia con Roland, e passano giornate intere a giocare. Mi chiedo come sia per una bimba di 6 anni affrontare questa situazione. Suo padre da quanto ho capito è stato infettato ed è morto in ospedale. Cosa le dirà la madre quando sono sole al buio per tranquillizzarla?

Ogni tanto vado sul tetto a fumare una sigaretta, e rimango lì, avvolto dal puzzo di putrefazione, a guardare la distesa di cadaveri, le auto abbandonate, e, impassibili in mezzo a tutto questo, loro. Ce ne sono ancora abbastanza qui fuori, fermi o in movimento. Sembrano tanti manichini spastici. Ogni tanto qualcuno di loro lancia un gemito o un urlo, ma non mi sembra propriamente una forma di comunicazione. Ce ne sono sia in buone condizioni, che sfigurati in modo orribile. L'altro giorno ho assistito ad una scena incredibile e nauseabonda. Se ci penso mi viene ancora da vomitare. Stavo osservando questa ragazza, con un lato della faccia ustionato e la mano sinistra maciullata, che camminava in tondo, e dopo un po' mi sono reso conto del fatto che fosse incinta. All'improvviso si siede per terra e, cristo giuro che è successo davvero, si sente un rumore come di strappo, il suo ventre si squarcia e ne fuoriesce un bambino, un cazzo di bambino zombie, con la pelle bianca e gli occhi rossi, che si guarda un attimo intorno, ancora impregnato degli immondi fluidi della madre, lancia un urlo e carponi si allontana come se nulla fosse. Ho vomitato l'anima dal parapetto. Io non le volevo vedere queste cose, non avrei mai voluto vivere una cazzo di apocalisse del genere, perché cazzo dovrei meritarmi una cosa come questa?

 

sabato

23 Luglio 2011

Ore 11.36 - Esperimento n°24

L'impossibilità di usufruire di una qualsiasi attrezzatura elettrica mi impedisce di verificare le mie osservazioni, ma oggi ho avuto una importante conferma: quello che tiene gli infetti in questo stato di sospensione tra la vita e la morte risiede nel cervello. Il soggetto n°24 è stato davvero illuminante da questo punto di vista. La sua testa recisa è sul vassoio e continua a muoversi ed addentare l'aria, mentre il suo corpo, senza più sostegno, sta andando incontro ad un rapido processo di decomposizione. Non posso dirlo con certezza senza un'analisi al microscopio, ma nel fluido ematico sembra scomparsa qualsiasi traccia di eritrociti, leucociti e (di questo sono quasi certo) trombociti, che unito a quella che credo essere un'interruzione del funzionamento delle cellule della pelle, provocano la mancata guarigione delle lesioni, col risultato che le ferite degli infetti sembrano sempre appena inferte. Per come la vedo io, le cellule del corpo degli infetti semplicemente hanno smesso di funzionare, ma qualcosa continua comunque a nutrirle. Lo stesso qualcosa che dice ai muscoli quando contrarsi. Quando questo qualcosa viene a mancare, tutte le cellule semplicemente muoiono, e il corpo va incontro alla naturale decomposizione. E io penso che quel qualcosa si trovi all'interno del cranio.


Un parassita? Molto probabile, ma non si ha alcun precedente di casi del genere, quindi la domanda successiva è: Da dove è arrivato?


La condizione causata dall'infezione è molto interessante: il corpo non è del tutto morto: le cellule sono vive, ma non ci sono dubbi che abbiano smesso di funzionare; qualcosa continua a stimolare il cervello, a svolgere il lavoro di nutrimento delle cellule e comunicazione dei segnali cerebrali, e condiziona l'ospite in modo da espandere il contagio, il che spiega l'aggressività degli infetti nei confronti degli esseri umani ma non degli altri esseri viventi, che semplicemente per loro non esistono. All'estinguersi degli eventi fisiologici, le emozioni non sono che una flebile eco di quello che erano una volta, fino a scomparire del tutto, sostituite da una intensissima rabbia (che credo provocata dall'agente infettante) nei confronti dell'essere umano, il quale viene aggredito con cieco furore.


Penso proprio che per avere qualche conferma dovrò aprire quella testa lì sul tavolo.



giovedì

21 Luglio 2011

La mia buona stella mi ha aiutato di nuovo. Sto scrivendo su carta perchè durante lo svolgersi degli ultimi avvenimenti il mio registratore è andato distrutto. Ero attorniato da loro, in preda al panico. Anche Roland, sul sedile posteriore dell'auto, era teso, tutti i peli ritti e un costante ringhio contro i finestrini. Il pick-up lo dovrò abbandonare qui, perchè quei cazzo di mostri hanno incrinato i finestrini a suon di pugni e testate, e non è più un mezzo sicuro. Ah, non ho ancora detto dove sono.
Andiamo con ordine.

Ho già detto che stavo andando praticamente a passo d'uomo in mezzo ad un'orda di zombie, che picchiavano sull'auto e urlavano. Non mi è nemmeno passato per l'anticamera del cervello di usare il fucile, non avrei aperto i finestrini per niente al mondo. É stato terrificante. Ero lì in mezzo a questa marea di cadaveri sfigurati in mille modi diversi: budella penzoloni da squarci nel ventre, occhi fuori dalle orbite, centinaia di moncherini che si agitavano verso di me, ho addirittura visto una ragazza a cui mancava tutto quello che c'è dalla vita in giù, sostituito da un buco grondante fluidi, aggrappata alla schiena di un grassone con un braccio solo. Anche definirli predatori è uno sbaglio, perchè non c'è un'intelligenza dietro quegli occhi vacui, quelle espressioni quasi apatiche. A parte uno... ma forse mi sbaglio.
 Ce n'era uno, un uomo sui 30 anni ancora in buone condizioni, a parte la ferita nemmeno troppo grande sull'avambraccio sinistro. Sarebbe potuto sembrare vivo, se non fosse per la pelle bianca come la neve che hanno questi mostri, su cui si staglia la carta stradale delle vene e delle arterie in viola, e gli occhi rossi dove una volta avrebbe dovuto esserci il bianco.
 Lui se ne stava lì in mezzo agli altri, senza muoversi, senza sbraitare. Mi osservava. Mi puntava. Giuro che quell'essere era intelligente almeno quanto me.

All'improvviso sul tetto di uno dei prefabbricati del centro commerciale ho visto un gruppo di 4 o 5 persone, e ci ho messo qualche minuto a capire che erano persone vive. Non urlavano per non attirare l'attenzione dei mostri, ma si sbracciavano un bel po' per farsi notare da me. Mi hanno fatto segno di fare un giro molto lungo e poi tornare verso l'edificio, indicandomi una porta laterale. Ho pensato “si certo, voi siete lassù, sono io che sto in mezzo a quest'inferno, come cazzo faccio ad andarmene di qui?” e loro, come se mi avessero letto nel pensiero, hanno sparato una specie di razzo giusto davanti il muso della mia auto. C'è stata un'esplosione e una vampata di calore. Ho visto pezzi di esseri umani volare nel cielo per poi ricadere al suolo, ho visto alcuni di loro andare a fuoco, ma non soffrirne per nulla; in quei pochi secondi ho visto più di quanto volessi vedere in tutta la vita, e ho la sensazione che vedrò ancora di peggio, se riuscirò a sopravvivere. L'esplosione mi ha aperto un varco nell'orda, e io prima ancora di pensarci ho accelerato e sono riuscito a divincolarmi da quella stretta mortale. Scivolando sui corpi stesi sull'asfalto, ho messo una cinquantina di metri tra il pick-up e loro. C'è stato un istante in cui mi hanno semplicemente guardato, senza fare un cazzo, come se provassero una forte delusione, ma poi hanno iniziato a correre. Il rumore dei passi di un'orda di morti che ti rincorrono calpestando un tappeto di cadaveri è un rumore che non riesci più a toglierti dalla testa.

Ho ingranato la marcia e cominciato a muovermi, con Roland che, intuendo di non essere più in immediato pericolo di vita, s'è fatto un po' di coraggio e si è messo ad abbaiare dal lunotto posteriore.
Ci è voluto un bel po' di tempo per portarli dove volevo, senza distanziarli troppo per non fargli cambiare idea. Dopo circa quaranta minuti passati a fare da esca ad una folla di brutte copie di Rob Zombie, ho spinto a tutta velocità l'auto verso la porta che mi indicavano i tizi. Un paio di volte, dallo specchietto retrovisore, ho visto ancora quello “anomalo” seguirmi senza fretta, lentamente, con la consapevolezza di avere tutto il tempo del mondo.
Arrivato alla porta laterale dell'edificio, sono usciti due uomini armati di balestra, che hanno aspettato mentre un terzo tizio mi aiutava a portare il mio culo, quello del mio cane, e un po' della roba che portavo sul pick-up, armi comprese, nel prefabbricato (ed è stato lì che ho distrutto il registratore, contro lo stipite della porta mentre portavo all'interno un paio di taniche di carburante... che fesso...).

Sbarrati nel reparto sportivo del centro commerciale sopravvivono 5 persone: c'è un militare sui 30 anni, un ragazzino ancora troppo giovane per rasarsi i 4 peli che si ritrova sul mento, una giovane mamma con una bimba di circa 6 anni, e un uomo sui 70 che si aspetta di morire da un momento all'altro. Non ricordo i loro nomi, sono ancora sotto shock e tutto mi sembra come un brutto incubo da cui non riesco a svegliarmi. Le entrate principali del negozio sono sbarrate con molte assi di legno, e la porta laterale da cui sono entrato è bloccata da un grosso scaffale pieno delle cose più pesanti che si possono trovare in un negozio sportivo. Il militare mi ha spiegato che faceva parte di una spedizione per portare civili in luoghi sicuri, ma che durante il tragitto sono stati attaccati e loro, gli unici sopravvissuti, si sono rifugiati in una casa a circa 10 km da qui. Come me hanno sentito l'annuncio dalla radio e hanno deciso di venire, e hanno trovato quello che ho trovato io: un bel cazzo di niente con contorno di zombie. Sono qui da ieri, hanno una non troppo scarseggiante provvista di cibo costituita di razioni militari e un po' di quello che sono riusciti a portare da casa. Prima del mio arrivo stavano pensando ad un piano per arrivare al corpo principale del centro commerciale, in modo da recuperare un po' di acqua, dell'altro cibo, e tutto quello che potrebbe essere utile per affrontare una nuova partenza appena deciso il da farsi. Non hanno notizie sulla fantomatica nave. Il soldatino mi ha spiegato di aver sentito l'annuncio due volte alla radio ma poi più niente, scariche statiche su tutti i canali, anche sulle frequenze militari di emergenza. Se una nave c'è bisogna muoversi prima che se ne vada senza di noi. Se invece la nave non c'è... beh mica possiamo rimanere chiusi nel reparto sportivo di un centro commerciale fino alla fine dei nostri giorni?


mercoledì

20 Luglio 2011

Sto preparando tutto per andarmene. Tre giorni fa per caso con la ricetrasmittente ho intercettato una comunicazione militare, in cui si dava avviso a chiunque fosse in ascolto di andare con qualsiasi mezzo verso il centro commerciale di Giugliano. Il resto non si è sentito molto bene, ma da quanto ho capito parlavano di una nave al porto di Pozzuoli. Ci ho messo 2 giorni per trovare il coraggio di preparare tutto e lasciare la mia casa, che fino ad ora mi ha protetto benissimo. Ma sarebbe successo comunque prima o poi. Sto cercando di non caricare troppo il pick-up portando lo stretto necessario, quindi le taniche di carburante, cibo non deperibile, le armi (quelle le ho posate in uno zaino sul sedile del passeggero, con le torce), uno zaino con degli abiti, e Roland, per cui ho preparato un piccolo giaciglio sul sedile posteriore dell'auto.

Chiudo casa a chiave. Forse non ci tornerò mai più, ma l'idea che loro entrino in casa mia mi dà la nausea. Porto il grosso Mitsubishi fuori dal cancello interno, e lo chiudo. Quello esterno lo lascerò aperto, non voglio rischiare inutilmente. Lo apro velocemente e corro subito in auto. Uno di loro varca la soglia, ma lo investo e gli passo sopra, scappando a tutta velocità.

Sono in strada, non ho più un rifugio. Cazzo.

Incontro pochi di loro, ma non mi va di mettermi a perdere tempo. Per arrivare al centro commerciale la maggior parte delle via è tra le campagne, e lì non ne incontro nessuno. Con questo sole, è quasi piacevole girare in auto, coi finestrini aperti (giusto un po') e la musica... potrei quasi dimenticarmi di tutto, e fare finta che non sia successo nulla.

Non ci vuole molto per riportarmi alla realtà. Le strade in prossimità del centro commerciale sono cosparse di auto abbandonate e cadaveri. In alcuni punti ho dovuto spingere le auto col pick-up per passare. L'enorme parcheggio sembra quasi una fossa comune. Ci sono 3 o 4 camionette militari più qualche furgone di polizia e carabinieri, ma nessuno intorno. Questo centro commerciale era sempre affollatissimo, sarà bastato l'arrivo di uno o due di loro per creare il panico. Ho la bocca tanto secca da farmi male come se mi avessero dato un pugno sul pomo d'Adamo e sento il cuore pulsare nelle orecchie e dietro gli occhi. Non c'è anima viva. Chiunque abbia sentito parlare nella ricetrasmittente, è morto o è fuggito.

I grossi edifici attorno al corpo centrale, come container sotto steroidi, hanno un aspetto tetro, un paio hanno le entrate sbarrate. Chissà se sono stati capaci di proteggere qualcuno. Cadaveri sull'asfalto a marcire al sole. Il tanfo è micidiale. Corvi, gabbiani e altri uccelli trovano il proprio pasto nelle orbite oculari, nelle bocche, negli squarci nel petto, senza fare distinzione tra uomini, donne e bambini.

Il senso ultimo dell'uguaglianza.

Cazzo!!!



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Cazzo cazzo cazzo! Sono intorno a me e battono le mani sul pick-up. Non posso accellerare, non posso tornare indietro, non posso fare un cazzo di nulla tranne che avanzare piano in mezzo a loro, mentre urlano e sbattono le mani sui finestrini, aspettando il momento giusto.

Ne arrivano altri, sono tantissimi! Mi ribalteranno!!

COSA CAZZO FACCIO ORA??


13 Luglio 2011

Da quando vivo nel paese dei morti la mia vita è cambiata parecchio, e non parlo solo del fatto che una qualsiasi relazione interpersonale potrebbe uccidermi, o peggio.
Ci sono un sacco di cose che normalmente diamo per scontate, che quando vengono a mancare ti fanno sentire come un neonato dimenticato nel suo seggiolone. L'elettricità per esempio. Ora siamo in estate, fa buio abbastanza tardi, ma non voglio nemmeno pensare a come sarà in inverno, quando la notte comincia alle 4 del pomeriggio. Cristo...
Non sono mai stato il tipo da TV, quindi non ne sento la mancanza, mentre per la musica mi aiuta l'impianto stereo dell'auto. Tutto il resto è un po' più difficile. La notte è davvero buia senza luci, intendo senza nemmeno l'illuminazione proveniente da fuori. Ti affacci alla finestra ed è tutto nero. Il cielo in compenso è bellissimo, si vedono milioni di stelle e la luna sembra essere più luminosa. Ho una buona scorta di candele, ma non le accendo se non ne ho proprio bisogno. Sarò paranoico, ma con le notti così buie in una situazione come quella in cui mi trovo preferisco attirare la minor attenzione possibile. Per passare il tempo sto leggendo più di quanto avessi mai fatto in vita mia, il che mi aiuta anche a non impazzire. Mi fa bene un po' di evasione.

Per quanto riguarda il resto, non c'è acqua corrente da un bel po', e nemmeno gas per i fornelli. Per lavarmi uso le scorte d'acqua che uso anche per bere e uso un fornello da campeggio a gas per preparami dei pasti caldi di tanto in tanto. Qualche volta ho anche acceso una specie di falò nel cortile di casa per arrostire della carne, ma mi ha preso la paranoia che l'odore, o il fumo che si alzava nel cielo, potesse attirare troppi mostri vicino casa mia, quindi ho fatto il tutto nel minor tempo possibile e poi ho spento il fuoco.
Ho anche un paio di torce a batterie, una delle quali l'ho trovata nel Mitsubishi ed è davvero potentissima, anche se troppo grande e pesante per usarla in caso di pericolo. Riguardo la difesa personale la mia casa mi rende abbastanza tranquillo, perchè se pure quei mostri riuscissero ad attraversare i due cancelli ed entrare nel mio cortile troverebbero delle massicce inferriate in ferro battuto a porte e finestre che dovrebbero resistere un bel po'. In una situazione del genere il mio problema sarebbe riuscire da arrivare al Mitsubishi, che proprio per questo non chiudo mai a chiave, non si sa mai, e lo lascio sempre col pianale sotto al balcone del piano di sopra, in modo da riuscire ad arrivarci con un salto in caso di pericolo. 
Per l'armamentario invece non mi sento molto sicuro. Quello che ho consiste in una vecchia mazza da baseball, un'accetta per spaccare la legna e le armi da fuoco che ho trovato indosso ai militari, più il vecchio fucile di mio nonno. La pistola e soprattutto il fucile d'assalto, in caso di pericolo immediato, sarebbero estremamente utili, ma il rumore si sentirebbe a centinaia di metri di distanza, attirando un'orda di morti. Non le dovrò mai usare nei pressi di casa. Mi farebbe molto comodo qualcosa di più silenzioso ma comunque letale e sicuro.

Una volta al giorno accendo la ricetrasmittente che ho trovato, passando un paio di minuti ad ascoltare rumore bianco su tutti i canali.

Sempre più spesso mi viene da pensare ai miei amici, la mia famiglia. Chi di loro sarà ancora vivo? Nessuno? Ma soprattutto: chi di loro è morto? Intendo realmente morto, non in questo stato di sospensione tra la vita e la morte, girovagando per le strade come una bestia famelica in attesa della prossima preda. Non riesco ad immaginare come mi comporterei se davanti a me si parasse qualcuno a cui ho voluto bene, e volesse uccidermi.

Hey Roland! Qui bello! Si si, sei un bel cucciolo... e sei l'unico amico che mi è rimasto...